La donna del soldato francese: anche Ozon scommette sul banco e nero

In Cinema

“Frantz”, che ha regalato a Venezia, alla protagonista tedesca Paula Beer, la coppa Mastrioanni per la miglior esordiente, è un riuscito melò con venature nere ambientato in Germania subito dopo la Prima Guerra Mondiale. Francois Ozon azzecca in pieno la scelta dei due protagonisti – l’altro è Pierre Niney, delicatamente nevrotico – e la scelta obbligata (dal budget) di rinunciare per molte parti del film al colore si rivela alla fine vincente, grazie anche all’ottima fotografia di Pascal Marti

Se c’è una cosa che François Ozon non smette mai di fare è rischiare, mettendosi alla prova con generi diversi: dalla commedia di Potiche, al thriller erotico di Swimming Pool, fino a gialli come Otto donne e un mistero, l’autore francese cambia contesto ma mai pelle. E con Frantz, in concorso alle 73esima Mostra di Venezia, dirige un melò in bianco e nero classico, colto e intenso, che riesce a non scadere mai nel patetico.
 Il cui tema è: può una menzogna detta a fin di bene provocare meno sofferenza della verità?

Germania, 1919. Ogni giorno Anna visita la tomba del fidanzato caduto al fronte, e al cimitero incontra Adrien, soldato francese sopravvissuto all’orrore della Grande Guerra, che si rivela un caro e vecchio amico di Frantz. Accolto dalla famiglia del ragazzo scomparso, il giovane silenzioso, affascinante e sensibile, diventa per i genitori un’insostituibile fonte di ricordi del figlio (quasi un suo surrogato) e anche un’importante presenza nel cuore di Anna. Finché rancore e rimorso avranno la meglio in lui.

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Lo spunto è una vecchia pièce pacifista di Maurice Rostand, già adattata per il cinema da Ernst Lubitsch nel 1932 col il titolo L’uomo che ho ucciso. Ozon muove da queste premesse ma capovolge radicalmente lo sviluppo: se anche in Frantz palpita la tensione franco-tedesca all’indomani della Prima Guerra Mondiale (con alcune sequenze magistrali, come l’esecuzione integrale della Marsigliese), qui Adrien non rivela subito le ragioni del suo arrivo, ma entra nella vita della famiglia portando un ingombrante segreto, e sconvolgendo l’esistenza dei personaggi.

Ozon inoltre immagina una nuova seconda parte del film, cambiando l’intera prospettiva e mettendo la protagonista femminile al centro del racconto, grazie al rapporto quasi-romantico con il misterioso straniero. Il regista francese è spesso al suo meglio quando lavora con le donne e qui ha trovato l’interprete perfetta nell’attrice tedesca Paula Beer, sorprendente nel ruolo di Anna, grazie al quale a Venezia ha vinto il premio Mastroianni come miglior emergente. Se tutto il cast convince, un altro colpo da maestro è la scelta del talentuosissimo Pierre Niney (già visto in Yves Saint Laurent), che con una delicatezza (tanto che vedendo il film ci si scopre alla ricerca di sottotesti omoerotici, una costante in vari film di Ozon) e una prestazione leggermente nevrotica, riesce e a restituirci una gran quantità di stati d’animo – tra finzione e realtà – aggiungendo ulteriori livelli e ricchezza a Frantz. L’inquieta e angosciata chimica tra i due protagonisti fa il resto.

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La scelta del bianco e nero è arrivata, per ammissione dello stesso Ozon, perché mancava il budget necessario per una ricostruzione precisa delle ambientazioni, ma alla fine proprio quella regala veridicità e realismo alla storia, anche grazie alla bellissima fotografia di Pascal Marti, che conferisce un tocco di modernità all’insieme. Coraggiosamente, il regista vira poi al colore per alcune scene chiave, dai flashback dell’amicizia di Adrien e Frantz a Parigi, fino all’escursione nella natura che lega Anna al soldato francese, ma anche per altri momenti più drammatici come la scena in trincea. Un approccio che può distrarre, almeno all’inizio, ma nel progredire del racconto diventa potente.

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