Eroiche a confronto: Haitink versus Petrenko

In Musica

Al centro dei due programmi la Terza di Beethoven: Haitink con l’Orchestra Mozart e Petrenko con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Due dei più grandi direttori viventi si confrontano con l’Eroica a due giorni di distanza

Sembra un sogno, anzi un doppio sogno, poter ascoltare a quarantott’ore di distanza la Terza di Beethoven come in un match generazionale tra due dei più grandi direttori viventi: il novantenne Bernard Haitink, ai suoi ultimi concerti prima della pausa che si prenderà l’anno prossimo, e Kirill Petrenko, 47 anni, che ha appena presentato la sua prima stagione con i Berliner Philharmoniker. Insomma, con Pasqua alle spalle, subito un’altra Settimana Santa: Haitink al Lac di Lugano con l’Orchestra Mozart, Petrenko a Torino con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.

Concerti per cui valeva la pena interrompere qualsiasi attività e precipitarsi a prendere lezioni di direzione d’orchestra, per lasciarsi travolgere da un capolavoro che regge a meraviglia con letture praticamente opposte, come ci si poteva aspettare. 

 

È fin troppo ovvio ricordare la profonda unità della Terza, quella coesione formale che la rende una delle prove più complesse per qualsiasi direttore. Forse anche per i luoghi comuni che la accompagnano: la retorica, l’eroismo, Napoleone sì, Napoleone no. Un brano che non solo inaugura un secolo ma lo rappresenta, un po’ come il Sacre di Stravinsky farà con il Novecento, per la propulsione implicita che nasconde nei suoi motivi interrotti e in continua trasformazione. Per non parlare della dilatazione monumentale di ogni logica della forma sonata, che chiama il Bruckner che verrà e di cui un direttore ha il compito di sottolineare i perturbanti: cause invisibili di effetti grandiosi che sintetizzano oltre cent’anni di vita musicale.

Di Eroica in Eroica, qualcosa dello spunto interpretativo dei due direttori ci arriva anche dai programmi. Entrambi in ordine cronologico, solo che Haitink pensa la Terza in coda al suo concerto, dopo la sinfonia concertante di Haydn in si bemolle maggiore, quasi a sottolineare come il “grande stile” di Beethoven derivi dall’asciutta frammentazione e trasfigurazione dei temi in Haydn. Al contrario Petrenko, contro ogni consuetudine, apre proprio con la Terza, come del resto suggeriva Beethoven stesso per avere un pubblico più concentrato anche in epoca pre-smartphone, e prosegue con l’Heldenleben più entusiasmante che si possa sentire oggi: un’Eroica a programma, come un poema sinfonico con quattro movimenti tra vita, morte, resurrezione e apoteosi dell’eroe.

Ma che sia fine o inizio di un mondo, non cambia lo slancio umano, troppo umano di Beethoven, quella violenta e disperata vitalità che lo tiene sempre “in basso”. Ecco, se c’è qualcosa che hanno in comune le letture di Haitink e Petrenko è il rifiuto della metafisica: nelle loro mani il materiale musicale freme di un’immanenza che dà alla sinfonia un’urgenza comunicativa, prima ancora che espressiva. Poi si può parlare della trasparenza richiesta da Haitink alla Mozart, che suona facendo a meno di vibrati e di qualsiasi effetto che sporchi l’esecuzione con facili sentimentalismi, senza tuttavia rinunciare ai volumi, alla sontuosità del suono, alla ricchezza delle dinamiche e allo struggente abbandono dei fraseggi. Al contrario Petrenko, prestigiatore dalla tecnica sovrumana, non disdegna un po’ di enfasi, con un’andatura più brillante e vivace, quasi nervosa, che punta vettorialmente alla sua destinazione. Non a caso è molto diverso il baricentro delle due esecuzioni; e se Petrenko sbilancia la sua Eroica verso un finale da capogiro, in cui si trattiene il respiro per l’energia e l’effervescenza, Haitink sposta tutto il peso della sinfonia sulla Marcia funebre, con i vuoti e i silenzi che sembrano trasformarsi in musica mentre il tempo, musicale e non, diventa improvvisamente una pura questione di interiorità.

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