Elezioni americane:parlando di aborto

In diarioCult, Weekend

L’aborto è stato uno degli argomenti caldi dell’ultimo dibattito presidenziale e finalmente Hillary Clinton ha potuto dire con fermezza e convinzione che nessun governo può interferire sulla libera scelta delle donne

Mercoledì sera, a cena, c’era un’emozione più pacata rispetto alle altre due sere dedicate ai dibattiti presidenziali. Questa volta mia figlia Emma era meno interessata, Sofia vedi sopra, e Luca, con il suo nobilissimo autismo, era come sempre completamente ignaro di quello che sta succedendo nel mondo. Dan, mio marito, era invece convinto che avremmo finalmente visto i fuochi artificiali: Donald Trump non aveva ormai nulla da perdere, visti i vari scandali della settimana scorsa che sembravano una puntata scritta male di Un Posto Al Sole.

Hillary, invece, sarebbe salita sul podio fiera e sicura di sé. Durante questa campagna ha imparato a riconoscere le parole chiave che fanno saltare i nervi al suo avversario, e che gli fanno perdere il controllo: per primo, chiamarlo Donald, nome che lui giustamente odia, poi ricordare ai milioni di telespettatori che non paga le tasse federali, sottolineare il fatto che ha chiesto milioni di dollari al suo paparino per iniziare un’impresa e ovviamente il suo rapporto malato con donne, minoranze, musulmani, ma anche con l’ambiente, con la politica estera. Insomma, Hillary ormai lo conosce bene e sa come stuzzicarlo.

Il giornalista moderatore di quest’ultima puntata era Chris Wallace, famoso opinionista di Fox News, il canale più dichiaratamente schierato a destra e più seguito negli Stati Uniti: un giornalista conosciuto per fare domande difficili e a bruciapelo. Questo fatto mi preoccupava un po’, perché Hillary Clinton non è uno stinco di santo e anche lei, come tutti i politici che sono sulla ribalta da tanti anni, ha i suoi scheletri nell’armadio.

Dopo aver obbligato Emma a fare la doccia e a mettersi il pigiama prima delle 21, ora dell’inizio del dibattito, e aver finito di pulire la cucina, ci siamo tutti messi davanti alla televisione, per la terza volta in pochi mesi. Trump, come le altre due volte, ha iniziato il dibattito parlando in modo convincente e coerente alle sue idee, regalando alla sua base di elettori caramelle ripiene di parole chiave: sì alle armi anche quelle d’assalto perché il secondo emendamento della Costituzione è sacro, sì alla ricerca di giudici della Corte Suprema repubblicani e conservatori, sì al muro di protezione al confine con il Messico.

Sembrava relativamente razionale, quasi calmo. Non interrompeva, non parlava quando non era il suo turno, era abbastanza preparato e quasi quasi sembrava presidenziale.

Ma poi lei l’ha chiamato Donald.

Si parlava di aborto, che in inglese si dice PRO CHOICE e PRO LIFE, o ROE vs. WADE, che è il nome dato alla decisione del 1973 della Corte Suprema di legalizzare l’aborto. Sono due le cose aberranti di questa diatriba: la prima è che se ne parli ancora, nel 2016 e cioé il fatto che l’animale contemporaneo occidentale e aperto di idee ancora stia qui a decidere se una persona come Donald Trump abbia il diritto di stabilire cosa fare del corpo delle donne. Siamo andati su Marte, ma ancora non riusciamo ad accettare il concetto che una donna fa della sua vita quello che vuole. La seconda considerazione è che Donald Trump è sempre stato pro-choice, e cioé per l’aborto, ma che adesso siccome deve ottenere i voti dei conservatori bigotti, come per magia ha cambiato idea.

Chris Wallace pone la domanda prima a Trump: «Vorrebbe che i giudici della Corte Suprema annullassero la decisione di Roe vs. Wade che legalizza l’aborto?» La telecamera era puntata su Trump, ma si sentiva forte e chiara la presenza di Hillary. Aspettava questa domanda da mesi, ormai. Per una donna progressista e femminista la domanda sull’aborto è una specie di manna dal cielo. Devo anche sottolineare il fatto che in queste elezioni ha fatto più scalpore che ci fosse un candidato come Donald Trump che il fatto che ci sia una donna candidata, fatto invece assolutamente rivoluzionario. Di conseguenza, Hillary ha avuto pochissimo spazio, durante la compagna, di discutere argomenti femministi, per paura di essere troppo ‘donna’, troppo ‘di sinistra’, e per noi donne, felici di averla tra i candidati, Hillary è stata fin troppo prudente. Aspettavamo tutte noi questa domanda da mesi. Poi, in confronto a Trump, la risposta di Hillary avrebbe brillato come una stella.

Personalmente, mi è saltato il cuore in gola: avevo quasi paura di sentire la risposta di Trump, perché non è veramente il suo pensiero, ma quello dei conservatori più fondamentalisti, ed è una realtà che vorrei non aver mai conosciuto.

Donald Trump, surprise surprise, non risponde direttamente, ma, dice che sarà una decisione che dovranno fare i singoli stati. Hmmm, interessante, penso io. Riversa insomma la responsabilità ai singoli Stati in modo, lo ammetto, relativamente ‘presidenziale’ e cioè calmo e razionale.

Poi tocca a lei. Spiega con fermezza e convinzione che la legge sull’aborto non solo è sacrosanta, ma che negli Stati Uniti ci sono ormai troppi casi in cui i finanziamenti per l’aborto vengono tagliati, o negati soprattutto per la parte della legge che stabilisce che se una donna rischia la vita, ha il diritto di abortire, anche se è al sesto, settimo mese. Nessun governo, ribadisce, ha il diritto di interferire in una decisione così difficile e delicata. Ricorda che ‘Donald’ appoggia i tagli alle cliniche che seguono questa parte della legge, e che in un’intervista di pochi mesi fa ‘Donald’ ha dichiarato che le donne che abortiscono a gravidanza avanzata dovrebbero essere punite. Ha, in pratica, schiacciato tutti i tasti giusti, che fanno saltare in aria Trump, che infatti cambia espressione, e da ‘presidenziale e razionale’ diventa il solito Donald Trump, rosso in faccia, con il dito minaccioso puntato verso la telecamera dice che una donna non dovrebbe avere il diritto di “farsi strappare un bambino dall’utero”, e che quindi lui farà di tutto per cambiare questa legge.

Hillary, come immaginavo, brilla di luce propria. Io scatto in piedi e salto di gioia. Un pochino mi commuovo, anche se cerco di nasconderlo perché commuoversi per un dibattito politico è sempre un po’ imbarazzante.

La mattina dopo apro la Repubblica e leggo che a Catania una donna incinta di due gemelli è morta perché, hanno denunciato i familiari, il medico che avrebbe dovuto intervenire e salvarle la vita la pensava come Donald Trump, e mi sono venuti davvero i brividi a pensare che se dovesse vincere lui, questo atto atroce e medievale potrebbe essere considerato legale.

Mi sono girata verso Dan e gli ho detto: «Domenica tu e Emma avete il dovere civile di andare a ricordare alla gente di votare, possibilmente per Hillary!», cosa che faranno, anche quest’anno.

E noi tutti teniamo le dita incrociate ancora per un paio di settimane.

Immagine di copertina di Kate Ausburn

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