Elezioni 2018: eppur bisogna sopravvivere

In Letteratura, Weekend

Come sopravvivere a una campagna elettorale fra le più meschine e livide che la nostra storia recente ricordi? A un tempo di rancori e patacche? Che cosa fare, che cosa leggere e sentire nel frattempo? Ecco la nostra guida per non arrendersi, per spacchettare le parole chiave – da identità a razza bianca, da giovani a Egizi – e per volare leggeri in attesa e oltre il 4 marzo

Premetto che andrò a votare. Con scarso entusiasmo, ma ci andrò. Credo di non essere il solo. Uno scrittore che seguo e apprezzo, Paolo Di Paolo, ha raccontato bene questa infelicità di chi non sa se astenersi per dare un segnale (lui cita il provocatorio Saggio sulla lucidità di José Saramago) o partecipare perché, nella vita collettiva, il voto dovrebbe essere un momento di consapevolezza e di scelta. Di felicità e di autostima, dicono lui e Saramago.

Voterò a sinistra come ho sempre fatto, conoscendo gli errori e le lacune della mia parte e aggrappandomi, residuo di razionalità che mi sforzo di non abbandonare, al “meno peggio”, o alla “migliore proposta relativa”. Perché, nel mio lessico famigliare, la sinistra è ancora o dovrebbe essere fraternità e uguaglianza e la destra no, e meno che mai oggi che spande sugli italiani (“rincoglioniti” secondo il pentastellato Di Battista, quello che confonde Austerlitz con Auschwitz) polvere xenofoba e imbonitoria, promettendo dentiere e negri da mandare al rogo.

Ma non mi appassiona questa campagna elettorale in cui siamo di fronte, do ancora la parola a Paolo Di Paolo, «a promesse che rilanciano di continuo promesse non mantenute, ridicole e non mantenibili; di fronte a divisioni penose e insensate; alla moltiplicazione patetica di simboli; alle concessioni a un lessico (e quindi a un pensiero) greve, violento, distruttivo; di fronte a inadeguatezza e modestia di idee gonfiata solo dall’arroganza o dalla clownerie». Non mi appassiona ma non posso fare a meno di stare a sentire, fra lo sconfortato e l’incredulo. Che fare allora? Raccogliendo l’invito di Cultweek proverò a ronzarci attorno. Approfittandone per offrire qualche suggerimento di lettura, qualche piccola musica, qualche video da vedere o rivedere.

Cannibalismo

L’ultima esternazione è sul delitto di Macerata: l’uccisione di Pamela Mastropietro e il successivo smembramento del corpo, di cui è accusato il nigeriano Innocent Oseghale con alcuni complici. L’ha rilasciata Alessandro Meluzzi, dicendo che dal cadavere mancano cuore e viscere, e che se li sono mangiati gli assassini perché la mafia nigeriana pratica il cannibalismo. Un’affermazione senza uno straccio di prova, un ipse dixit. Il Giornale ha amplificato la notizia parlando di “riti voodoo”. Ma forse, invece di pensare alle bamboline, sarà il caso di leggersi qualche articolo informato: come questo del Post..
Comunque la narrazione dello psichiatra e criminologo, anche se fosse accertato quel che afferma ed è difficile che lo sia – chi fra i miei colleghi ha letto gli atti giudiziari in cui è coinvolta la mafia nigeriana in Italia non ha trovato riscontri – è tendenziosa e istiga al peggio: sono nigeriani, dunque sono mafiosi, dunque sono cannibali. Ora, gli assassini di Pamela sono criminali e vanno puniti, come le leggi italiane prevedono. Ma il resto dei nigeriani? Pensate se applicassimo le categorie di Meluzzi ai campani per definirli tout court azzannacuori (lo fece nel 1981 con Francis Turatello Faccia d’Angelo il camorrista Pasquale Barra detto ‘O Animale, lo rifece nel 1982 Paolo Di Lauro detto Ciruzzo ‘o milionario ai danni del cutoliano Giacomo Frattini, che venne decapitato dopo che gli erano state amputate le mani e strappato il cuore). Pensate, per paradosso, se basandoci sulle gesta del terrorista nero Pierluigi Concutelli (che in carcere assassinò due pentiti, strangolandoli con le proprie mani) dovessimo concludere che tutti i fascisti, avversari e spesso avversari particolarmente odiosi, sono assassini. Il che, ovviamente e per fortuna, non è. Narrazioni come quelle di Meluzzi sono razziste. Lo spiega assai bene un saggio illuminante di Luigi Luca Cavalli Sforza e Daniela PadoanRazzismo e noismo. Le declinazioni del noi e l’esclusione dell’altro (Einaudi, 2013). Ma che altro ci si può attendere da uno che, come Meluzzi, console onorario del Paraguay, ha voltato tutte le possibili gabbane secolari (è stato comunista, forzitaliano, cossighiano, diniano, verde e mastelliano) e spirituali (è stato massone, diacono cattolico di rito greco-melchita, attualmente è primate della chiesa ortodossa italiana autocefala con il nome di Alessandro I)? Come prendere sul serio uno che ha chiamato la figlia Araceli, sic? Pensando a Meluzzi mi è tornata in mente una canzone del 1955, scritta e cantata da Duilio Del Prete. Si chiamava L’isola e lì i “buoni selvaggi” si mangiavano il missionario. Eccola.

Secondo voi quei cannibali se lo mangerebbero Meluzzi? Secondo me no, un cialtrone come lui non deve avere un buon sapore.

Egizi

È soltanto uno scandaletto, una stronzatella pour épater le peuple, ma mostra al colto e all’inclita, con esemplare nitidezza, che cosa siano fascisti e leghisti che marciano affiancati. Di quale nulla si nutrano, di quale nulla trasmettano, di quali bufale veicolino. Dunque, al Museo Egizio di Torino lanciano una promozione: una coppia araba può entrare gratis. È marketing intelligente: sconti, riduzioni e ingressi gratuiti anche per giovani, studenti, famiglie, pensionati. Mostre nelle scuole, visite nelle carceri e negli ospedali, innamorati e papà accolti, una rete di accordi con i musei della città, l’orgoglio di fare ricerca, di reinventare un museo e, pensate un po’, di fare utili senza costare alla collettività, da tre a 12 milioni di euro di introiti. Non c’è ancora la mummificazione gratuita per Matteo Salvini e per Pancetta Nera Meloni, ma provvederanno. Fratelli d’Italia si scatena. Razzismo all’incontrario, nomine politiche di sinistra, denaro pubblico sprecato, un sit-in di fasci e disinformati, pochi a dire il vero, davanti al museo. Il direttore Christian Greco potrebbe fare spallucce ma scende in strada ad accoglierli e, civilmente, spiega, contesta, corregge. Ecco il video, bell’esempio 2018 di Civiltà contro Barbarie.

Il giorno dopo Fratelli d’Italia per bocca di un tale Mollicone, nomen omen, dice che quando andranno al governo loro faranno lo spoils system evitando gli sprechi (ma il Museo Egizio di Torino è privato e non prende soldi pubblici), che metteranno gente più competente (ma l’enfant prodige Christian Greco, 39 anni, leggere la biografia e i titoli su Wikipedia e sulla Treccani, è un egittologo che il mondo ci invidia) e che, insomma, tutto il potere ‘a ggente. Se i fascisti di casa nostra non hanno ancora un candidato per sostituire Greco, suggeriamo Karima El Mahroug in arte Ruby Rubacuori. Lei l’Egitto lo dovrebbe conoscere bene, non era la nipote di Mubarak?

Famiglia

I giovani e la famiglia, dopo la pagliacciata imbarazzante del Fertility Day, sono gli altri grandi assenti dalla campagna elettorale. E si sa, i giovani oggi sono pochi rispetto a ieri e contano poco: ma addirittura avere l’impudenza di farli responsabili della loro sventura… Sì, il Pd promette sussidi e detrazioni per le famiglie, e va anche bene. Ma il sospetto forte – è venuto a una giovane giornalista e scrittrice che satireggia a Un giorno da pecoraFrancesca Fornario, viene anche a me – è che questo ceto di bigami e trigami e sessualmente polimorfi che si accampa ai family day, la famiglia proprio ce l’abbia in spregio. E i giovani anche, se le donne che si sono laureate e sanno quattro lingue ai colloqui di lavoro si sentono rispondere, da tangheri imbarazzanti: «Lei è troppo qualificata per questo lavoro». Se alla Rai i contratti dei precari contenevano la clausola infame che licenziava le donne «in caso di maternità o altra patologia invalidante». Riscritta in gergo politically correct, ma non meno infame, dalla presidente Lorenza Lei: «Laddove dovesse insorgere un impedimento, anche temporaneo, a espletare le attività di cui al presente contratto, ella si impegna a darcene tempestiva comunicazione scritta con indicazione della presunta durata dell’impedimento stesso. Nulla le sarà dovuto per le prestazioni non eseguite». In questa Italia dove il passato strangola il presente e sbarra il futuro, tre giovani coppie – 20, 30 e 40 anni, tanto da noi si è giovani fino a 45 anni – che non possono avere figli perché non c’è nessuna stabilità, perché l’adozione è preclusa e l’eterologa era nel 2015 vietata – battuta memorabile: «Curioso, considerando che il primo nato grazie al seme di un donatore esterno alla coppia è stato Gesù. I Cattolici sono i precursori dell’eterologa!» – decidono di creare La banda della culla (Einaudi, 2015) per avere un figlio, anche sfidando la legge. Si ride tanto, ma si ride per non piangere.

Fanatici

Al fanatismo di destra fa da contraltare un fanatismo di sinistra pervicace. Ne è un buon esempio Gino Strada, chirurgo e operatore umanitario degno della massima stima per l’attività di Emergency che però, quando parla di politica, annoia o irrita o le due cose insieme, con le sue banalità condite di assoluto e con le sue sparate apodittiche e spesso fuori bersaglio. Ne è un buon esempio l’anatema contro il sindaco di Macerata, che non era presente alla manifestazione antirazzista perché stava con i vigili, pronto a intervenire in caso di incidenti. Il marciatore in trasferta, tanto poi si torna a casa che intanto questa l’abbiamo sistemata, ha tuonato: «Chi ha cercato di stoppare questa manifestazione è ideologicamente colluso o corrotto». Eccolo lì, quello che trasforma un’assenza in un boicottaggio aperto, il più puro che ti epura: stalinista in gioventù, Strada non ha perso il vizio. Intanto, un gruppo di ragazzotti intonava lo scemo e criminale: “Ma che belle le foibe da Trieste in giù”, prendendo in prestito la musica a Raffaella Carrà. Intervistato da Goffredo Buccini del Corriere della Sera il “nemico del popolo”, il pd Romano Carancini, ha risposto: «Puoi scegliere la scorciatoia per il consenso immediato o lavorare perché una scelta sia più profonda, meno strumentale. Io non ero affatto contro la manifestazione, non dico che non fosse importante. Ma c’erano pochi maceratesi, tanti non ci si sono ritrovati. Se continuiamo solo a fare manifestazioni mostrando forza muscolare, numeri e slogan, graffiamo appena la superficie, diventa un rito, una mera ripetizione di se stessi. La ritualità non va abbandonata, va superata. Bisognava ragionare, far capire, preparare, prima di marciare». Parole pacate, alle quali opporre altre ragioni, se si hanno. Non da ostracizzare. Insomma, per me Gino Strada è un fanatico, non ci piove. Se lui e i suoi simili leggessero Cari fanatici (Feltrinelli) di Amos Oz, scrittore immenso, magari farebbero un utile ripasso di convivenza civile. «Certo, non tutti coloro che alzano la voce pro o contro qualcosa sono in odore di fanatismo, non tutti coloro che insorgono contro un torto diventano fanatici solo perché insorgono e solo perché lo fanno con impeto. Una visione pregnante delle cose non è di per sé un’inclinazione al fanatismo. Non lo è neppure esprimere fermamente le proprie emozioni o i propri sentimenti. Non è il volume della voce a stabilire che sei un fanatico, lo sono prima di tutto la tua tolleranza o mancanza di tolleranza verso le voci di chi la pensa diversamente da te».

Identità

Il concetto di identità, che a destra viene usato come passepartout per giustificare ogni grettezza e chiusura, è fallace almeno quanto quello di razza. Ne fa piazza pulita, nel bellissimo Eccessi di culture (Einaudi, 2004) l’antropologo Marco Aime. Citando l’intellettuale maliano Amadou Hampaté Ba: («Le persone di una persona sono numerose in ogni persona»). E soprattutto la lezione introduttiva al corso di antropologia culturale tenuta da Ralph Linton per esaminare (e liquidare) l’identità dell’americano medio. Viene buona anche per gli xenofobi, i sovranisti e gli identitari di casa nostra, eccola. «Il cittadino americano medio si sveglia in un letto costruito secondo un modello che ebbe origine nel vicino Oriente. Egli scosta le lenzuola e le coperte che possono essere di cotone, pianta originaria dell’India; o di lino, pianta originaria del vicino Oriente; o di lana di pecora, animale originariamente domesticato nel vicino Oriente; o di seta, il cui uso fu scoperto in Cina. Tutti questi materiali sono stati filati e tessuti secondo procedimenti inventati nel vicino Oriente. Si infila i mocassini inventati dagli indiani delle contrade boscose dell’Est, e va nel bagno, i cui accessori sono un misto di invenzioni europee e americane, entrambe di data recente. Si leva il pigiama, indumento inventato in India, e si lava con il sapone, inventato dalle antiche popolazioni galliche. Poi si fa la barba, rito masochistico che sembra sia derivato dai sumeri o dagli antichi egiziani».
Il nostro bravo americano medio, nell’elencazione implacabile di Linton, incontra sul suo cammino una sedia (Europa meridionale), gli abiti (modellati su quelli delle steppe asiatiche), una cravatta (Croazia, secolo XVII), delle scarpe in pelle (Egitto e Mediterraneo), delle monete (Lidia), un giornale (carta cinese, caratteri semiti, stampa tedesca), fa colazione (stoviglie cinesi, coltello in acciaio dell’India meridionale, forchetta italiana, cucchiaio dell’antica Roma) con caffè (Etiopia) e zucchero (India). Poi fuma (America precolombiana) e legge le notizie del suo giornale.
A questo punto «mentre legge i resoconti dei problemi che si agitano all’estero, se è un buon cittadino conservatore, con un linguaggio indo-europeo, ringrazierà una divinità ebraica di averlo fatto al cento per cento americano». Di che cosa parla chi parla di identità?

Lavoro

Del lavoro, della sua precarietà, della difficoltà di trovarlo e tenerlo, di riuscire a farlo convivere con una giusta paga e con uno straccio di diritti, si parla molto poco in questa campagna elettorale. Più comodo evocare le invasioni barbariche, minacciare di rimuovere il direttore del Museo Egizio, fare autogol senza neanche accorgersene (un Berlusconi più rimbambito del solito, alla Confcommercio, ha detto che il suo governo aveva innalzato le pensioni a “mille lire al mese”, lapsus e balla clamorosa se avesse detto mille euro com’era sua intenzione). Della precarietà come condizione esistenziale, dei mille lavori non garantiti (venditore porta a porta della qualunque, montatore di palchi, commesso, spacciatore di giornali e di assicurazioni, dipendente di un’azienda di telefonia mobile) parla il sommesso, e sommessamente furente, Ipotesi di una sconfitta (Einaudi) di Giorgio Falco, cinquantenne che racconta la propria vita, e lo squallore innominabile della provincia e di una Milano senza luci e lustrini. Confrontandosi con la figura del padre, tramviere dell’Atm in un tempo in cui il lavoro, il “posto fisso”, era dignità e orgoglio, in pagine che commuovono a leggerle. «Era novembre, suonavamo campanelli, a Berlino facevano la Storia. Amici e amiche di Chiara erano lì, nei giorni della caduta del Muro; partiti per vivere l’evento, essere protagonisti. Qualcuno doveva pur suonare i campanelli, non potevamo andare tutti a Berlino». Alla storia della donna che si è data fuoco all’Inps di Torino è dedicato invece l’altrettanto bello e necessario Concetta. Una storia operaia (Feltrinelli) di Gad Lerner, che già nel 1988, con Operai (ancora Feltrinelli) aveva compiuto un memorabile e premonitore viaggio all’interno della Fiat. Avere trascurato il lavoro, averlo retrocesso e collocato in una zona d’ombra, avere inneggiato in tempi non sospetti alla precarietà e alla “bella modernità”, umiliando chi del lavoro viveva e ancora vorrebbe vivere (non è cominciato con Matteo Renzi, ho abbastanza memoria per ricordarmi i “capitani coraggiosi”, Colaninno & c., di D’Alema), è il più grosso peccato capitale della sinistra. Un errore tragico, di cui oggi si paga lo scotto.

Onestà

Ieri il popolo delle libertà, oggi il partito degli onesti. Ieri era la libertà di svuotarti le tasche facendo finta di riempirtele (su altre libertà del satrapo in capo si è già detto abbastanza), oggi è il furore contro la casta da parte di chi è appena stato ammesso al banchetto e, avido e sprovveduto come molti neofiti, se la svigna rubando i cucchiaini. Cucchiaini, poi, insomma… un milione e quattrocentomila euro non resi, non un reato perché è la violazione di una regola interna del M5S, ma senz’altro un caso da manuale di doppia morale. I concetti assoluti sventolati come slogan suscitano fastidio e sono ipocriti perché il contrario, almeno per eufemismo, non si può dire: chi mai, anche facendo lo schiavista, promuoverebbe un partito dei padroni di schiavi? Chi, fra i molti ladri, avrebbe il coraggio di fondare un movimento dei grassatori? Per l’onesta c’è l’aggravante: chi dichiara con tanta veemenza di essere onesto, tacciando tutti gli altri di disonestà, deve esserlo in maniera netta, assoluta, radicale. Non può permettersi di sgraffignare neppure una bustina di zucchero al bar. Un apologo bello e crudele sull’onestà presunta e sbandierata è L’uomo che corruppe Hadleyburg di Mark Twain, che apparve nel 1900 (in Italia lo pubblicano e/o e Passigli). Racconta la beffa di uno sconosciuto ai danni di un paese che gli ha fatto torto. Un paesino gretto ma orgoglioso di un’incorruttibilità «debole come l’acqua», perché non è mai stata messa alla prova. Nel paese degli onesti arriva un sacco di monete d’oro. Accompagnato da una lettera che dice: «Alcuni anni fa ero disperato e senza un soldo, avevo perso tutto al gioco e uno di voi mi aiutò dandomi venti dollari e pronunciando una frase che non dimenticherò mai. Io non sono in grado di rintracciare quell’uomo, ma la vostra comunità di onesti sì. Chi sarà in grado di ripetere la frase del mio soccorritore, che ho affidato a una busta sigillata, avrà i quarantamila dollari di questo sacco». Inutile dire che la frase non è mai stata pronunciata, che il sacco non contiene il tesoro e che il paese si scannerà, in un crescendo comico irresistibile, per avere quella fortuna. Scegliendo infine di inalberare un nuovo motto: «Inducici in tentazione».

Razza bianca

Il leghista ed ex sindaco di Varese Attilio Fontana, candidato governatore della Lombardia, ha smentito la fama immeritata di moderato che lo accompagnava alzando i toni. E promettendo che, se sarà eletto, caccerà centomila clandestini perché la razza bianca va difesa dall’arrivo degli immigrati. Ora, a parte il fatto che quasi sempre chi parla di razza bianca, da Hitler in avanti, non è esattamente un modello di vichingo o di ariano, il concetto di “razza bianca” (il concetto di razza più in generale) è il falso criminale che ha giustificato pogrom e massacri. Un amico scomparso di recente, Pietro Cheli, ha scritto Sono razzista ma sto cercando di smettere (Laterza, 2008) con il genetista Guido Barbujani. Andatevelo a ripescare: scoprirete, ma forse lo sapevate già, che il razzismo non alligna soltanto a destra.

Vivere, volare

Concludo cercando di volare via dalla politica. Di fronte a una politica incapace di volare ci sono vite segnate dallo stupore e dalla magia, dalla vittoria della leggerezza sulla forza di gravità. Per esempio le Vite straordinarie di uomini volanti di Errico Buonanno (Sellerio). Che racconta, assieme a molti altri, del “santo idioto” Giuseppe da Copertino, un povero di spirito che, quando un’emozione o una gioia lo coglievano, si levava in aria. E del sarto parigino che nel 1912 spiccò il volo dalla Torre Eiffel. Cataloga e distilla vite che non sono le nostre invece, in libretti folgoranti (recuperate Libro di candele Mosche d’inverno), il ravennate Eugenio Baroncelli. L’ultimo, Risvolti svelti. Breviario amoroso di vite altrui capitolate (ancora Sellerio), fatto di capitoli brevissimi, emana un fascino intenso. Eccone alcune.

Giacomo Casanova, uno e due. «Visse due vite. In una si divertì, nell’altra si annoiò. In una fu Giacomo Casanova, nell’altra il suo ricordo».

Elsa Morante. «Amò i bambini, i gatti e il mare. E nel mare di Procida ora sta».

Glenn Gould. «Tiene al suo corpo, visto che è un dio. Da sempre teme che i suoi odiati fan gli sciupino le mani. Da sempre, per la paura di ammalarsi, indossa il cappotto in piena estate».

Buon voto.

 

Immagine di copertina: Elezioni Politiche 2008 di agenziami

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