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Esiste un’epica al femminile? Si, rispondono le autrici di un volume collettivo, spaziando da Doris Lessing alle donne migranti, fino alla mitica voce di Elena

Epica. Ovvero  canti di eroi,  storie di imprese e coraggio e di comunità con la quale condividere quelle strordinarie gesta. E invece: epica in anni di crisi, in cui sembra che la stessa parola stoni con l’aria del tempo. Come eroe del resto, ché il Novecento ce l’ha consegnato reduce infelice e sconfitto. E invece: epica, sostantivo femminile.

Bia Sarasini, curatrice insieme a Paola Bono, di “Epiche. Altre imprese. Altre narrazioni” Come nasce questa domanda collettiva cui nove autrici rispondono nel vostro libro?

Forse proprio perchè i tempi richiedono imprese e grande coraggio: basti pensare a quanta diseguaglianza, quanta miseria, quanta necessità di cambiare. Forse perché le donne di imprese ne fanno molte, ma non le riconoscono come tali e sono spaventate dalla stessa parola. E allora, sulla scorta di un seminario romano e di una discussione collettiva, ci siamo poste la domanda: esiste, in che termini di può parlare di un’epica al femminile? La tradizione ci consegna eroi, seppur oggi sconfitti, le eroine nella storia sono tali quasi solo se vestono abiti maschili, come Giovanna D’Arco. Poi è arrivata la motivazione del Nobel a Doris Lessing, di cui mi occupo in un saggio del volume: cantatrice dell’epica femminile, è stata definita. Un ulteriore motivo per indagare.

Quale la vostra risposta all’interrogativo?

Crediamo di si, che esista un’epica femminile. Se l’epica comporta, oltre all’impresa e al coraggio, anche lo spostamento,  per esempio quale impresa più grande di quella che compiono le donne migranti? Questa vicenda  ha ormai  una sua narrazione al femminile: da Jamaica Kincaid fino agli esempi che stanno nascendo nel nostro paese come Igiaba Sciego. Il libro offre, oltre a quello sull’epica delle migrazioni,  molti e differenti sguardi su questa nozione, compreso quello, critico, di Sandra Petrignani. E si spazia dalle donne indiane alle protagoniste di Ann Tyler che prendono un autobus per non si sa dove, producendo uno scarto rispetto alla propria vita,  fino al collettivo di  giovani donne del Nordest ideadetroyngmuros che – ricordate l’ira funesta? – cantano la rabbia di questi anni. Fino ad arrivare ad Elena che, nel saggio di Marina Vitale, si interroga su quello che gli uomini stanno  facendo in suo nome a Troia. E si chiede se valgano di più mille navi o un bacio nella notte.

Un controcanto sull’epica come la conosciamo dai libri di scuola, epica della vita quotidiana. Non si rischia così di annullare, di destrutturare una nozione che ha una sua identità, nonchè una sua tradizione?

Non tutto è epica, l’epica chiede consapevolezza della propria impresa, chiede spostamento da una condizione ad un’altra. Non è vittimismo, non è certo sconfitta. Ma mentre l’eroe percorre il mondo spesso quasi senza guardarlo, l’eroina non dimentica, nell’architettura generale, il dettaglio, la trama della vita. Questo libro nasce da una pratica politica ed è una proposta politica: nel momento in cui tutte le narrazioni sono in crisi, proporre la cura femminile che dalla casa si sposta al mondo,  alla comunità, vede le diseguaglianze, si occupa del grande disegno. Cura  femminile insomma come scarto, cambiamento di paradigma, antidoto al potere e alla violenza.

Epiche Altre imprese, altre narrazioni. A cura di Paola Bono, Bia Sarasini. Iacobelli editore (euro 14,90)

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