Qual è la via del vento. Storia di un esodo

In Letteratura

La distruzione di un mondo in equilibrio tra culture diverse passa attraverso gli occhi una bambina che, nel giro di pochi minuti, vede la sua vita completamente cambiata. Daniela Dawan racconta un esodo dimenticato: quello degli ebrei dalla Libia nel corso della guerra dei Sei Giorni. E lo fa con la coscienza di chi ha sentito la Storia frangersi sulla propria esistenza, intrecciando romanzo e memorie biografiche.

Nel corso del ‘900 state molte le atrocità e i soprusi compiuti nel corso di guerre e rivolte, e molte delle vittime non hanno mai avuto giustizia. Tra questi vanno sicuramente annoverati gli ebrei libici, che nel giugno 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, dovettero abbandonare in massa la terra dove vivevano da millenni a causa delle violenze subite per il crescente antisemitismo. La loro storia, dimenticata dalla maggior parte degli italiani che pure furono i primi a dare loro asilo, rivive nelle pagine di Qual è la via del vento (edizioni e/o), romanzo semi-autobiografico di Daniela Dawan.

La storia inizia a Tripoli, proprio alle 9.30 di quel 5 giugno 1967 in cui gli ebrei libici videro il loro mondo scomparire per sempre: innumerevoli arabi si erano riversati per le strade in preda alla follia e, dopo aver accumulato rancore verso gli ebrei per decenni, iniziano a ucciderli in massa e a saccheggiarne le case, le sinagoghe, i cimiteri. I coniugi Cohen, Ruben e Virginia, sono barricati in casa con i genitori di lei in attesa di poter uscire a prendere la loro figlia di nove anni Micol: questa, rimasta nella scuola delle suore, è una bimba timida e introversa, che vive all’ombra della sorella maggiore Leah, morta prima che lei nascesse e sulla quale incombe un terribile segreto. Un segreto con il quale Micol farà i conti solo molti anni dopo, quando cercherà di ottenere giustizia per ciò cha la sua gente ha dovuto passare. Sullo sfondo, viene narrata la storia della sua famiglia, a rappresentare ciò che fu la vita ebraica in quelle terre.

Se si confronta il personaggio di Micol con la biografia dell’autrice, si capisce che la prima è un alter ego della seconda: infatti, la Dawan è nata a Tripoli da genitori ebrei ma ha dovuto lasciare la Libia a dieci anni proprio a causa delle persecuzioni da parte dei musulmani, che usavano come pretesto la guerra tra Israele e i paesi arabi. E come l’autrice, anche Micol da grande diventa un avvocato di successo (oltre a lavorare come avvocato penalista, la Dawan è attualmente consigliere della Corte Suprema di Cassazione).

Un altro elemento, che invece salta maggiormente all’occhio, è che la descrizione fatta della società libica di quegli anni, e in particolare della sua componente ebraica, non risparmia critiche a nessuno: non emerge solo il pregiudizio degli arabi verso gli ebrei, ma anche quello degli ebrei tripolini per gli ebrei italiani, oltre a quello dei cattolici per gli ebrei, visti come “deicidi”. Inoltre, vengono descritti nei minimi dettagli i contrasti politici dell’epoca, come quello tra ebrei sionisti e non, oppure quello tra la vecchia guardia di Re Idris e i giovani nazionalisti arabi, che due anni dopo avrebbe portato al golpe militare di Gheddafi. E attraverso il romanzo riaffiorano anche i luoghi, i costumi, le tradizioni di un mondo che non tornerà mai più. E infatti il titolo del romanzo deriva da un verso di un testo biblico, il Qohelet: “Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana, gira e rigira e sopra i suoi giri in vento ritorna.”

Quella narrata nel libro è una storia piena di gioia e dolore, di rimpianti per il passato e sguardi rivolti al futuro, che serve a impedire che un fatto storico tanto drammatico cada nel dimenticatoio.

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