La guerra fredda di Pawlikowski, un Giulietta e Romeo alla polacca

In Cinema

Con “Cold War”, già premiato al Festival di Cannes e ai recenti Oscar europei (con ben 5 statuette), Paweł Pawlikowski tenta di ripetere l’exploit che lo portò nel 2015 a vincere l’Award hollywoodiano grazie a “Ida”. Stavolta, ispirandosi liberamente alla vita dei suoi genitori, racconta il travagliato amore tra Viktor (Tomasz Kot) e Zula (Joanna Kulig), uniti dalla musica ma divisi dal mondo e dai loro ego

“Ho visto un film polacco, sottotitolato, in bianco e nero, girato in academy format (per uno schermo pressoché quadrato), con pochissimi movimenti di camera e senza colonna sonora se non quando cantano i protagonisti, cioè per mezzo film. E ovviamente cantano in polacco”. Cold War non è un film facile, nemmeno a raccontarlo. Anzi, a dirla così ci si aspetterebbe né più né meno che un seguito da guerra fredda della Corazzata Potemkin di fantozziana memoria, una chicca per cinefili da caricatura e aspiranti suicidi del sabato sera. E invece no (o almeno non solo).

Paweł Pawlikowski, nato in Polonia ma cresciuto tra Germania, Italia e Gran Bretagna, lo ha girato con ben altre ambizioni: già vincitore nel 2015 del premio Oscar per il miglior film straniero con Ida, il regista sessantunenne originario di Varsavia punta deciso al bis, visto che anche Cold War è stato selezionato nella rosa di finalisti per la prossima edizione degli Academy, dopo il trionfo (5 statuette, tra cui miglior film e regia) agli European Film Awards e il premio per la miglior regia a Cannes. In attesa dell’immancabile e sacrosanto giudizio del pubblico, l’entusiasmo fin qui riscosso da critica e addetti ai lavori parrebbe se non altro un biglietto da visita di tutto rispetto.

Spiegare le cause di un simile successo, quello sì è già più facile. Il bianco e nero, innanzitutto, non è un bianco e nero qualsiasi, né quello sgranato e fumoso delle foto d’epoca o del cinema di una volta: è piuttosto quello netto e squadrato dei tasti di un pianoforte, nitido e curato fino quasi al manierismo, riuscendo a dare luce e brillantezza anche agli aridi paesaggi e volti della Polonia del dopoguerra, ben lontana dall’immaginario hollywoodiano in technicolor anni ’50. Il formato “quadrato”, invece (già usato in Ida al pari del bianco e nero), è un rimando esplicito al formato in 16 mm di documentari e film amatoriali, in un accenno di neorealismo pienamente riuscito, almeno nella prima parte dell’ora e mezza di proiezione.

E se sul piano formale nessun maniacale dettaglio pare lasciato al caso, Cold War è soprattutto una storia, e una storia quasi vera. Ispirata alle vicende amorose dei genitori del regista (a cui il film è dedicato), la pellicola è una sequenza di istantanee sulla vita travagliata di Viktor e Zula, musicisti e amanti segnati dalle stelle, tra l’istinto personale di sopravvivenza e la voglia di prendersi e lasciarsi, perdersi e ritrovarsi. E proprio la musica, presenza quasi costante (mentre sono pochi, pochissimi i dialoghi), scandisce con la sua evoluzione un racconto per quadri, dal dopoguerra agli anni Sessanta, al ritmo di canzoni popolari e contadine riarrangiate per fumosi locali jazz, da un lato all’altro della cortina di ferro.

Il risultato è un Romeo e Giulietta dell’Europa dell’Est che ha forse il suo maggior punto di forza proprio nei suoi due interpreti, Tomasz Kot, attore di teatro oltre che cinematografico, e Joanna Kulig, premiata come miglior attrice agli European Film Awards e già presente nel precedente Ida. Apatico e pressocché inespressivo lui, vulcanica nelle sue sfumature drammatiche lei, insieme riescono nell’impresa di dare vita e vitalità a un film dai ritmi tutt’altro che vorticosi, anzi piuttosto dettato dalla cadenza regolare di un metronomo, senza mai sussulti o sterzate, fino al (prevedibile?) finale.

Un’opera compassata fino all’estremo, in nome di un realismo che priva il racconto di ogni retorica anche dove potrebbe forse osare di più, al punto che la “travolgente passione” fin qui strombazzata da slogan, trailer e prime recensioni, è piuttosto un gioco di indizi, sguardi, silenzi e tonalità di grigio, per lo spettatore più accorto e meno incline alla noia. Gli altri non cadano nella trappola della pellicola osannata e pluripremiata da vedere a tutti i costi, e si sentano liberi (tanto più in periodo natalizio, quando le alternative non mancano) di guardare anche altrove senza vergogna.

Cold War di Paweł Pawlikowski, con Tomasz Kot, Joanna Kulig, Agata Kulesza, Boris Szyc, Jeanne Balibar.

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