25 anni di cinema, mai visto prima

In Weekend

Compleanno importante per il Festival del cinema africano, d’Asia e America latina: ricordi di ieri, programmi di oggi (e un evento con Cultweek)

Ha 25 anni e li dimostra tutti. E nel suo caso è un gran complimento. Perché il Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina (l’edizione 2015 dal 4 al 10 maggio all’Auditorium San Fedele, Spazio Oberdan, Cinema Beltrade e altri luoghi milanesi) con le tante occasioni di vedere film da noi irreperibili, gli ospiti di prestigio invitati e interrogati, da Wole Soyinka a Danny Glover, le idee e i dibattiti che ha suscitato, si è conquistato nel tempo un posto di primo piano in Italia, e forse in Europa, tra le rassegna dedicate alle cinematografie altre e del terzo mondo. E qualche anno prima della rassegna “sorella” di  Rotterdam.

Alessandra Speciale è con Annamaria Gallone alla guida del festival dalla prima edizione del 1991, che offrì al San Fedele e al Teatro alle Colonne di San Lorenzo una ventina di film, con un report sulla produzione nel Senegal e un nome di primo piano come guest star, il più grande regista e scrittore “storico” di quel paese Ousmane Sembene. «L’idea del festival venne a don Francesco Pedretti che era all’ufficio missioni del Coe, l’ong che tuttora lo organizza. Aveva molti contatti con l’Africa, il Camerun soprattutto e una gran passione per l’arte. E pensava, allora piuttosto avanti con i tempi, che la cooperazione non dovesse essere solo portare medicine e aiuti vari, ma anche cultura, educazione. E che potesse favorire la scoperta  e la conoscenza di altre culture da questa parte del mondo. Sono gli anni della prima massiccia migrazione verso l’Europa e l’Italia attraverso il Mediterraneo e comincia uno scambio vero di idee, persone, costumi e anche cinema. Noi ci avevamo già “provato” con la rassegna “Lontano presente” al San Fedele, fatta di film africani e dall’India: il successo di quelle proiezioni ci spinse al passo di un vero festival. Anche perché allora, assai più di ora, avevamo l’appoggio, anche economico delle istituzioni lombarde, Regione, Provincia e Comune, l’unico che è rimasto tuttora a sostenerci».

Come sempre gli inizi hanno tratti coraggiosi, pionieristici…«Lavoravamo molto con l’associazione dei cineasti africani e il Festpaco, il festival, nel tempo diventato il più importante d’Africa che si tiene a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Per anni pubblicavamo la rivista Écrans d’Afrique in due lingue (inglese-francese) e con due redazioni a Milano e Ouagadougou. Trovammo critici in loco che ci mandavano dall’Africa floppy disc disastrati e prezzi da tradurre che arrivavano da fax scalcinati. Il Coe distribuisce tuttora anche in Italia film dei diversi continenti: all’inizio partecipava anche alla produzione, comprando i pre-diritti sulla base delle sceneggiature, un grande aiuto per chi doveva realizzarli, ma poi si finì per comprali a film finito. I soldi purtroppo sono diminuiti per tutti».

Il Festival si evolve: all’inizio c’erano solo pellicole africane dall’edizione 2004 vengono proposte film di tre continenti. «Già avevamo proiettato, subito dopo il passaggio a vari festival, i film di Abbas Kiarostami (da noi ancora sconosciuto) e la poi celebre trilogia di Satyajit Ray. Nella seconda metà degli anni ’90 il festival girava anche in altre 14 città italiane, grazie a un fondo del Ministero degli esteri che poi ci hanno tolto. Anche l’Unione Europea, dopo averci sostenuto a lungo, ha deciso di indirizzare i suoi fondi verso il cinema europeo e i festival africani, a casa loro. Dopo 23 anni un grande sponsor come Eni è  anch’esso venuto a mancare. Speravamo in un contributo almeno per il progetto  che coinvolge il pubblico Io c’ero, dedicato ai 25 anni del festival che abbiamo lanciato sui social network. Ma ce la siamo cavata, come sempre. E ce la caveremo anche in futuro».

Parliamo del pubblico, come si è evoluto?
Purtroppo il pubblico del festival è cambiato poco, è rimasto lo stesso dei primi anni. E’ difficile far venire i giovani anche a eventi come il nostro, scaricano i film a casa e non sono sensibili ai festival, più ai titoli mainstream. Qualcosa abbiamo però ottenuto coinvolgendo le università, la Statale e lo Ied con iniziative in comune, gli studenti devono essere un po’ stimolati.

Per un festival così dev’essere fondamentale il rapporto con le comunità straniere a Milano. Voi come ve la cavate?
E’ un tema molto importante, tra noi c’è proprio chi si occupa di portare al festival il pubblico delle comunità. Che di solito si aspettano commedie, intrattenimento, anche se alla fine vengono a vedere anche i film più ‘tosti’. Con qualche problema e  qualche situazione inattesa s: una volta abbiamo proiettato una sorta di Romeo e Giulietta dello Sri Lanka, una storia d’amore tragica tre un lui cingalese e una lei tamil. In sala si andò vicino alla rissa. A un’altra proiezione si presentarono due signori in età molto distinti, lui col papillon, e mi consegnarono un magnifico mazzo di fiori: ho scoperto poi che erano i genitori del protagonista, che abitavano qui, a Milano e noi non lo sapevamo. All’Oberdan una sera è venuta una massa enorme di gente per un film dal Bangladesh: abbiamo poi scoperto che il protagonista era un blogger famosissimo tra la sua gente. La più grande differenza tra il 1991 e oggi è la rete. Dove ci sono notizie, dibattiti,  film interi già pronti da scaricare: e tutti sanno tutto, soprattutto nelle comunità.

La vostra più grande scoperta?
Abderrahmane Sissako il regista di Bamako e Timbuctù, (il quasi Oscar al film straniero 2015, finalista tra i 5, ndr). Sarà quest’anno presidente della nostra giuria, (la madrina è la cantante Malika Ayane). L’abbiamo scoperto proprio nel 1991 al Festpaco, dove in una rassegna periferica si poteva vedere il suo primo corto Le jeu, 15 minuti su un gruppo di bambini che giocano alla guerra. Era l’opera prima di un regista mauritano che aveva studiato in Russia. Gli consegnammo il premio Coe a Ougadougou, poi venne al nostro festival e fu premiato anche qui. Di suo abbbiamo distribuito anni dopo La vie sur terre.

E l’episodio più divertente?
Era l’edizione del 1994, emozionante per vari motivi, tra cui la presenza di Omar Sharif in giuria. C’era una sezione sul cinema egiziano. Andammo a cena con lui e una decina di produttori e operatori arabi. Omar iniziò a litigare con loro, parlavano in arabo sempre più concitatamente, lo capivamo anche noi. Poi tutti quanti, meno Sharif si alzarono e se ne andarono. Lui aveva accusato un grosso critico di essere troppo amico di Gheddafi, l’altro aveva ribattuto con pesanti allusioni sul personale e tirando in ballo perfino Cocteau. Sconvolti, uscimmo anche noi dal ristorante e a terra c’è una ragazza distesa, svenuta all’apparenza. Omar si mise in mezzo: «Niente paura, qui c’è il Dottor Zivago». E lei, debolmente: «Ma io mi chiamo Lara». Lui ancora: «1965?». E lei: «No, 1967». Lui, definitivo: «Seconda visione».

L’edizione 2015

Il 25° Festival del cinema africano d’Asia e America latina apre all’Auditorium San Fedele il 4 maggio con Taxi Teheran del grande regista iraniano, tuttora bloccato in patria, Jafar Panahi vincitore dell’ultimo festival di Berlino. Tra gli altri 60 titoli, divisi nelle due selezioni ufficiali (film e corti) e nelle rassegne collaterali sui film africani, il razzismo, l’Expo, “Extr’a”, “E tutti ridono”, sono da segnalare Letters from Al Yarmouk (Palestina 2014), di Rashid Masharawi, straordinario documentario su un campo profughi palestinese, non riconosciuto ufficialmente, creato nel 1957 a Damasco; El ardor di Pablo Fendrik, western-action movie con Gael García Bernal e Alice Braga, che racconta il dramma dei coltivatori di tabacco della foresta argentina costretti con la violenza a cedere le loro terre; En La Estancia del messicano Carlos Armella, con Alejandro Inarritu come produttore esecutivo, ambientato nell’ex villaggio minerario di La Estancia dove vivono solo un vecchio di 93 anni e il figlio Juan Diego, perché tutti gli altri abitanti sono emigrati in cerca di fortuna; Made in China di Kim Dong-hoo, prodotto e scritto da Kim Ki-duk, film sul risentimento anti-cinese dei coreani che non vogliono importare cibo proveniente dalla Cina Popolare.

Cultweek, media-partner del Festival, organizza giovedì 7 maggio alle 18, nella sede di ChiAmaMilano in via Laghetto 2 una proiezione di Looking for Kadijia (Extr’A”) che sarà seguito da un incontro con il regista Francesco G. Raganato.

foto: courtesy Festival del cinema africano, d’Asia e America latina. In apertura un’immagine da The Crow’s Egg, in concorso. All’interno Sissako nel 1994, un’immagine del 1996, Michele Placido con André Siani e Tawil nel 1991, prima edizione del festival

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