Cento anni di Ella Fitzgerald

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Mostre, concerti e nuove pubblicazioni celebrano i cento anni di Ella Fitzgerald

Los Angeles, 1965. Ella Fitzgerald accoglie l’amico giornalista Leonard Feather nella sua sontuosa villa, tra gli squisiti arredi danesi e la piscina. Si vedono per un’intervista per la rivista Down Beat, ma lei sembra tesa. Non ama parlare con la stampa e il motivo sta proprio nella sua natura cortese: legge costantemente commenti maligni che le persone si scambiano tra loro e non vuole essere coinvolta in questo diabolico meccanismo. Feather la conosce da tempo immemore, la ricorda ancora minorenne mentre muoveva i suoi primi, e talvolta goffi, passi nel mondo dello show business. Ora davanti a sé siede la “First Lady of Song”, circondata dalle conferme del suo successo internazionale, ma che ha ancora bisogno di essere messa a proprio agio prima di iniziare a parlare. Così, i due amici di vecchia data si rilassano, rompendo il ghiaccio con argomenti informali e ascoltando qualche incisione di Ella: tra queste fa capolino Whisper not, il trentacinquesimo album della Fitzgerald che verrà pubblicato di lì a poco, chiudendo il decennale connubio con la Verve Records. Lo standard, interpretato magistralmente dalla voce limpida e dolce della cantante, è stato composto da Benny Golson ma le parole sono dello stesso Feather. Ella guarda l’amico e gli chiede: «vuoi sentire in che modo ho rovinato la tua canzone?».

Questo aneddoto, che proviene dal consigliatissimo articolo Ella today and yesterday too (L. Feather, Down Beat, 18 novembre 1965), riflette alla perfezione il temperamento giocoso della “signora del jazz” e, al contempo, la forte vena autocritica che l’ha accompagnata nel corso della sua lunga carriera musicale. Lei, una stella che sembra non essersi mai abituata al successo, e spesso tormentata dagli spettri delle sfortune degli esordi. Un chiaro primo ritratto di Ella Fitzgerald da tenere a mente nel centenario della sua nascita, il prossimo martedì 25 aprile 2017.

La ricorrenza sarà festeggiata in primis al Grammy Museum di Los Angeles con la mostra Ella at 100: celebrating the artistry of Ella Fitzgerald, che conterrà fotografie, abiti di scena e rare incisioni della cantante. Inoltre, è in uscita un cofanetto in quattro dischi con le 100 canzoni più famose, a cura delle etichette Verve Label group e UMe. Tra gli eventi senza dubbio più facilmente raggiungibili merita un’attenzione particolare la seconda edizione di A Vigevano Jazz, con un calendario di appuntamenti musicali da venerdì 5 maggio al 4 giugno: «quest’anno il festival punta sulle ricorrenze», afferma il direttore artistico Gabriele Comeglio, «celebreremo il centenario di Ella Fitzgerald con Sarah Jane Morris, quello di Thelonius Monk con pianisti del calibro di Intra e Rusca e anche quello di Buddy Rich con il grande Tullio DePiscopo».

Cresciuta dalla madre in un sobborgo di Yonkers, NY, per la Fitzgerald le luci del palcoscenico rappresentano una potente evasione dalla misera realtà. Non può permettersi i dischi e ascolta alla radio gli show delle Boswell Sister, tre bianchissimi usignoli originari della Louisiana: la sua preferita, Constance “Connee” Boswell, sarà il suo più influente modello di canto. Si diletta soprattutto nella danza. Un giorno con le amiche organizza un sorteggio con le cannucce per chi tra loro si sarebbe esibita alle “ore del dilettante”, che si tengono regolarmente in città: «ho pescato la cannuccia più corta», ricorda Ella, «e così ho iniziato a vincere tutti quegli spettacoli». Nonostante la danza sia il suo primo amore, la giovane concorrente si esibisce come cantante e viene notata dal musicista Benny Carter. Al contrario, non sortisce il minimo effetto sul grande Fletcher Henderson quando la ascolta, e la sfortuna vuole che sua madre muoia proprio nel momento in cui le si presenta l’occasione di essere scritturata per la CBS, e nessuno può assumersi la responsabilità di firmare il contratto per l’orfana minorenne. Mettiamoci anche un piccolo fiasco al Lafayette Theatre, con tanto di uscita di scena tra i fischi del pubblico, sulle note di Lost in a fog: «il pianista non sapeva gli accordi, e io mi sono persa, letteralmente» racconterà Ella anni dopo.

La fortuna inizia a girare grazie al batterista Chick Webb e alla sua orchestra che, nonostante l’iniziale incertezza, la prende con sé a cantare al Savoy Ballroom. I primi successi Sing me a swing song (and let me dance) e Comin’ through the Rye sono pezzi freschi e ritmati, adatti alla giovane età della cantante. Il suo timbro è ancora acerbo e più sottile rispetto alla piena e squillante voce che ci balza all’orecchio quando pensiamo ad Ella Fitzgerald, ma già nelle registrazioni di qualche mese successivo (siamo nel 1936) mostra di aver acquisito molto più appeal e limpidezza nel suono. Questa è una delle meravigliose caratteristiche di Ella: il dare tutta se stessa, il mettere tutto lo studio e l’impegno possibile per adattarsi al contesto musicale in cui si trova. La troviamo infantile e leziosa nel suo più grande successo A-Tisket A-Tasket, che i musicisti non amano suonare ma che fa impazzire il pubblico, la troviamo concentrata e presente nelle attività che intraprende dopo lo scioglimento dell’orchestra di Webb nel 1941 (Webb muore nel 1939 e per due anni Ella prende le redini del gruppo), la troviamo aperta e curiosa verso i fraseggi scat dei cantanti bop, fino a elaborare uno stile personale, dal fraseggio vorticoso e vivacissimo, la troviamo rispettosa e ineccepibile di fronte all’interpretazione dei successi dei più grandi compositori del mondo del jazz.

 

Quest’ultimo progetto, il set di album Songbook prodotti dalla Verve, ha messo alla prova la Fitzgerald per un’intera decade: i dischi vennero registrati quando alcuni dei compositori (come Duke Ellington, Cole Porter e Irving Berlin) erano ancora vivi e vegeti e presero parte attiva al lavoro. Il sassofonista britannico Benny Green chiosa il lavoro metodico della cantante con queste parole: «Per Ella, che aveva cercato per tutta la vita di rendere le canzoni che cantava qualcosa di diverso da quello che erano, e avvicinarle a se stessa, la disciplina imposta dai Songbook, in cui la star è l’autore, non il cantante, deve esserle sembrata davvero strana». Sono forse tutte queste caratteristiche che nel tempo le hanno fatto conquistare la fedeltà del pubblico e, senza dubbio, una fama imperitura, al punto che le sue versioni di alcuni standard (pensiamo a Mr. Paganini, How high the moon, Mack the knife, It don’t mean a thing) costituiscono un vero e proprio punto di riferimento nel canto jazz oggi, e per i prossimi cento anni ancora.