Lo schiaccianoci, Balanchine e la “cure gourmande” di Margherita Palli

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The Nutcracker nella storica edizione del grande coreografo russo per la prima volta alla Scala in un allestimento di Margherita Palli: dal Mariinskij al Lincoln Center, passando per Vienna e Charleston

Per tutta la vita George Balanchine ha mantenuto connessioni psico-emotive speciali con Lo schiaccianoci. Da quando giovanissimo, a San Pietroburgo, danzava nella parte di uno dei topi dell’inquietante notturno natalizio del primo atto, a metà tra l’incubo e l’allucinazione – del resto fonte del balletto è il prefreudiano E. T. A. Hoffmann. Ma il culmine del suo rapporto con Čajkovskij è senza dubbio la scintillante produzione del 1954 con il New York City Ballet, gruppo fondato insieme all’impresario Lincoln Kirstein dopo il trasferimento in America alla morte di Diaghilev, padre padrone dei Ballets russes con cui aveva lavorato qualche anno – senza andarci troppo d’accordo.

Da allora Lo schiaccianoci è entrato stabilmente nel repertorio della compagnia newyorkese, con repliche a ogni avvento e dirette televisive, fino al trasferimento nel ’64 nel nuovissimo New York State Theatre del Lincoln Center, in cui viene ancora replicato fedelmente. «Un po’ come per noi l’Arlecchino di Strehler», commenta Margherita Palli, che il 16 dicembre, per l’inaugurazione della stagione di balletto della Scala, firmerà la prima versione milanese del cavallo di battaglia di Balanchine.

Realizzare scene e costumi per questo spettacolo significa rispettare un sacco di criteri: «Non bisogna tradire lo spirito con cui è nato e allo stesso tempo bisogna tenere conto dei rigidi vincoli spaziali della coreografia». Per fortuna sono disponibili diversi video “autorizzati” del balletto: anche un film del ’93 con Macaulay Culkin, ai tempi vero esperto di avventure natalizie. «Anche se durante la produzione non ci sono mai state obiezioni, per così dire, “estetiche” da parte del New York City Ballet. Anzi, si è capito subito che le limitazioni sarebbero state solo tecniche: la misura di un letto, l’altezza di una porta. Poi, certo, se in una scena è previsto un fondale deve esserci un fondale: credo di non averne mai fatti tanti in tutta la mia carriera».

 

 

L’ispirazione per la casa del signor Stahlbaum del primo atto è la famosa villa di Drayton Hall a Charleston, rivisitazione americana dell’architettura europea costruita nel XVIII secolo, oltre alle illustrazioni di Maxfield Parrish a cui Margherita Palli è molto legata. «È un artista che ho usato spesso per gli spettacoli di Ronconi, come Rockwell: ad esempio i quadri in casa di Humbert in Lolita erano proprio di Parrish. E mi diverte che se ne sia servito anche George Lucas in Guerre Stellari, per il personaggio della Principessa Leila».

Di questa versione del balletto di Balanchine, in cui i protagonisti sono entrambi bambini, bisogna riconoscere le diverse atmosfere che separano i due atti. «La prima parte rappresenta la realtà, la seconda il sogno. Tutto inizia con la bambina che, attraverso il tulle, sbircia i genitori mentre preparano l’albero di Natale. Poi si passa nella stanza e il racconto comincia». Verso le fine dell’atto arrivano i topi, «che però non saranno troppo cattivi: non devono fare paura. I nostri topi sono un po’ punk, indossano gioielli e collanine. Invece per il valzer dei fiocchi di neve ho immaginato il luogo più bianco possibile: un bosco innevato, silenzioso e ovattato, in cui girano animali albini, bianchi pure loro». Il secondo atto è tutto ambientato nel Regno dei Dolci, ma non bisogna pensare alle bakery americane. Anzi, l’ambientazione sarà decisamente europea: «Ho pensato a un negozio di dolci ispirato alla Engel Apotheke di Vienna, che abbiamo chiamato La cure gourmande, con vetrine che ricordano certe pasticcerie di lusso milanesi. I ballerini si mischiano alle decorazioni di torte, compare anche una barchetta trainata da un cigno come nel Lohengrin e, per il finale, una slitta di Babbo Natale fatta di pan di zenzero. Più che un sogno, quello di Marie è proprio un delirio: un po’ come Heidi che vede le caprette, solo che lei vede i dolci».

Dando un’occhiata ai figurini sembra che i costumi siano stati il divertimento maggiore, per la quantità di riferimenti usati. La famiglia nella prima scena è ispirata a certi dipinti ottocenteschi alla Corcos, Arlecchino e Colombina subiscono la logica contaminazione milanese dello spettacolo di Strehler-Frigerio-Squarciapino, il re dei topi indossa un mantello mangiucchiato come fosse formaggio. Infine i personaggi del negozio di dolciumi sono vestiti con cioccolato, foglie di caffè e tè, tutù di marzapane e cassatine fino all’iperglicemia, ma con certi dettagli russi che non possono mancare, come la corona della Fata Confetto, un kokoshnik, «perché anche se Balanchine aveva rifiutato la Russia, non poteva ignorare i suoi ricordi e archetipi, che sono rimasti fissati nel suo codice genetico, come è successo anche a Nabokov».

Teatro alla Scala  Pëtr Il’ič Čajkovskij Lo schiaccianoci (George Balanchine’s The Nutcracker ®) . Direttore Michail Jurowski, scene e costumi di Margherita Palli (16, 19, 20, 29, 30 dicembre; 3, 4, 10, 12, 15 gennaio) 

 

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