Ecco “Blade Runner 2049”: è (quasi) riuscita la mission impossible di Denis Villeneuve

In Cinema

35 anni dopo, il sequel del capolavoro di Ridley Scott (qui produttore) vince la sfida di non sfigurare davanti all’originale, dal quale eredita, nella parte finale, il protagonista Harrison Ford, sempre nei panni di Deckart. Ma la star è diventata Ryan Gosling, cacciatore di androidi come il predecessore e padre (solo?) spirituale: un taciturno, trattenuto e macerato antieroe. Lo stile volutamente rallentato del regista canadese, maestro d’immagini di cinema ricche quanto poco dipendenti dagli effetti speciali, fa del film una nuova pietra miliare della fantascienza (qui molto noir) contemporanea

Non benissimo, ma bene quanto basta. Il pregio maggiore (e il complimento più grande) che si possa riconoscere al nuovo Blade Runner 2049, nelle sale 35 anni dopo il primo capitolo della saga, è di non avere quasi nulla da invidiare al capolavoro di Ridley Scott, reggendone invece per lunghi tratti il confronto. Non sarà un film perfetto, né forse una futura pietra miliare nella storia della cinematografia di fantascienza, ma l’ultima creatura del canadese Denis Villeneuve (Prisoners, Enemy, Sicario e il più recente Arrival) è se non altro un’opera coraggiosa. Innanzitutto perché si confronta a viso aperto con il mito, realizzandone un sequel capace di camminare egregiamente sulle proprie gambe, ridefinendone o sviluppandone alcuni canoni senza alcun timore reverenziale.

D’altro canto, per il fan di vecchia data, anche a distanza di anni le immagini di Villeneuve sapranno di ritorno a casa, nelle musiche, nel ritmo (insolitamente lento per il genere fantascientifico a cui siamo abituati oggi) e nello sviluppo passo dopo passo di una trama ben più vicina a quella di un giallo o di un noir che a quella di un futuristico action movie. E poco importa che il redivivo Rick Deckard porti a spasso un cane vero anziché una pecora elettrica: perché a far da padrona, in una trama avvincente e articolata (anche se un po’ pretestuosa in alcuni passaggi) è proprio quell’ambiguità, quel labile confine tra uomo e macchina, sentimenti reali e ricordi fittizi, su cui si fondava il romanzo Il Cacciatore di androidi di Philip K. Dick, fonte d’ispirazione di entrambi i film.

Gran merito, ovviamente, va agli interpreti: Ryan Gosling, detective replicante in impermeabile e pistola come il suo illustre predecessore, pare ormai perfettamente calato nei panni dell’antieroe romantico, inespressivo in superficie e segretamente dilaniato da emozioni trattenute (e recitate) a fatica. Harrison Ford, nonostante l’ovvia presenza massiccia nel battage pubblicitario, si vede poco ed è impiegato il giusto per non cadere nella solita trappola dello stucchevole revival a tutti i costi. Robin Wright, dopo House of Cards pare perfettamente a suo agio nei panni della donna manager tagliata con l’accetta, presente o futura che sia. La tenera fidanzatina virtuale Ana De Armas e l’algida nemesi robotica Sylvia Hoeks, cinereplicanti di Sean Young e Daryl Hannah, sono due facce della stessa, seducente medaglia. Jared Leto in modalità messianica è l’unica nota stonata dell’orchestra, con i suoi toni esageratamente compassati e un carisma che stenta a decollare.

Poco male. Come il primo e più del primo, in questo secondo capitolo sono l’immagine, l’ambientazione e l’atmosfera le vere protagoniste del film. Ma all’ormai iconico cyberpunk di Ridley Scott, che con i progetti del designer Syd Mead ha ridefinito il concetto di fantascienza cinematografica, Villeneuve aggiunge e sostituisce distese di grigio cemento e rottami, masse d’acqua e seducenti statue di dee cadute, tutto immerso in una nebbia gialla da scenario post-atomico. Per lo spettatore più affezionato, o per chi semplicemente avesse optato per un ripassino (consigliato) del film del 1982, i riferimenti sono ancora tutti lì, dalla pioggia battente ai cartelloni pubblicitari in tre dimensioni, dalle piramidi di circuiti alle auto volanti.

Solo è tutto più grande, più temerario: Blade Runner 2049 è prima di tutto una sequenza di quadri e colori dipinti con la mano sicura di un artista che, vivaddio, non ha paura di avere uno stile e mostrarlo al suo pubblico, con un’impronta sempre più chiara e riconoscibile. Uno stile che, come nelle opere precedenti del regista canadese, preferisce dosare l’azione fino a centellinarla, quasi relegandola al ruolo di gradita intrusione. Ne sarà delusa forse quella parte di platea in cerca di una narrazione frenetica, sequenze di combattimento roboanti, CGI ed esplosioni in serie. Per chi invece si volesse avvicinare alla fantascienza (o al cyberpunk) dal lato più riflessivo e filosofico, dribblandone l’aspetto fracassone, l’epopea dei Blade Runner rappresenta ancora, a distanza di decenni, un ottimo inizio.

Blade Runner di Denis Villeneuve, con Ryan Gosling, Harrison Ford, Robin Wright, Jared Leto, Ana de Armas, Sylvia Hoeks