Tolkien: la storia di una vita

In Letteratura

Beren e Lúthien: un libro lungo 100 anni e due vite

Con un paio di amici scherzo spesso con un divertente (per noi) tormentone relativo al continuo bisogno di case al mare di Christopher Tolkien, il terzo figlio, coerede e curatore designato di John Ronald Reuel Tolkien. L’autore del Signore degli Anelli, infatti, è uno degli scrittori con la maggiore disparità tra le opere pubblicate prima e dopo la morte: in vita diede alle stampe Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, Le avventure di Tom Bombadill, Il cacciatore di draghi, la prima edizione di Albero e foglia, che comprende il saggio Sulla poesia e il racconto Foglia di Niggle, scritti fondamentali per capire il valore che attribuiva al raccontare, e vari saggi di filologia (era il suo mestiere, in fondo). Postumi sono invece l’edizione ampliata di Albero e foglia; Il Silmarillion, i Racconti incompiuti di Númenor e della Terra di Mezzo, i tredici volumi di The History of Middle-Earth, inediti in Italia tranne che per i primi due, Racconti Ritrovati e Racconti Perduti, e I figli di Hurin; Mr. Bliss, Roverandom e Le lettere di Babbo Natale; La caduta di Artù e La leggenda di Sigurd e Gùdrun, reinterpretazioni del ciclo arturiano e di Sigfrido; il suo epistolario intitolato La realtà in trasparenza e la raccolta di saggi, già pubblicati in realtà lui vivente su rivista, La trasmissione del pensiero e la numerazione degli elfi; e ovviamente il recentissimo Beren e Lúthien, di cui in teoria questo pezzo dovrebbe trattare.

 

Uno dei ritratti più celebri di J.R.R. Tolkien

 

Se siete sopravvissuti a questo elenco vi sarete resi conto della disparità di cui scrivevo poco sopra. Tutti i testi pubblicati dopo la sua morte sono stati curati dal figlio e i loro – immagino notevoli – diritti d’autore sono giustamente confluiti nelle casse della Tolkien Estate, la società costituita dai sui eredi. L’impressione è che ogni volta che la famiglia Tolkien abbia un bisogno economico impellente, che sia la riparazione di una caldaia o una nuova casa al mare, Christopher recuperi un quaderno abbandonato 40 anni fa da suo padre sotto una pila di carte, lo metta in bella copia e lo dia alle stampe, buttando nelle librerie un nuovo best-seller. Ecco, per quanto cinica, irriverente e goliardica, questa impressione è sbagliata.

L’intento di Christopher è molto più romantico e meritevole: filologo anche lui come il padre, ha dedicato la vita a portare al pubblico le opere del genitore nel modo più vicino possibile a come erano state concepite. È certamente interessante discutere dell’operato di Christopher entrando nel merito delle sue scelte, come hanno fatto di recente Michele Mari, Roberto Arduini, presidente dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, e Wu Ming 4, e cercare di capire quanto c’è della sua mano e della sua testa negli scritti usciti con il nome del padre in copertina, ma non è lecito mettere in dubbio il suo diritto a farlo. Nel suo testamento, J.R.R. Tolkien stesso scrive che il figlio ha il “pieno potere di pubblicare, editare, alterare, riscrivere, completare” ogni suo lavoro.

L’idea di autore di Tolkien Sr, infatti, è più vicina a un’idea medievale che all’idea romantica che ne abbiamo adesso. Un’opera per lui non è per forza frutto di una sola mente geniale che vi riversa la sua anima, piuttosto è il risultato di più voci che si vanno a fondere sovrascrivere completare raccontando la stessa storia, la stessa canzone di gesta. Per questo ha autorizzato il figlio a operare in modo anche fortemente invasivo sulle sue opere.

Christopher Tolkien in una fotografia recente

 

La scrittura stessa di J.R.R. Tolkien, in realtà, incarna già in qualche modo questa sua filosofia nel modo in cui ha sviluppato il mondo fittizio, Arda, che è ambientazione del corpus principale delle sue opere.
In principio, nella sua subcreazione, era il verbo, ovvero le lingue elfiche che aveva inventato in gioventù. Come ogni lingua, però, avevano bisogno di un popolo che le parlasse, di un mondo in cui diffondersi, di una storia che le formasse e di leggende da raccontare. I romanzi e le poesie di Tolkien nascono quindi così, per dare un mondo alle sue creazioni linguistiche. (Lo so, sto semplificando, ma sono già a 4000 battute e non ho ancora parlato del libro di cui dovrei scrivere.)

Per tutta la vita Tolkien ha continuato a modificare la sua opera, scrivendo e riscrivendo i racconti che ne compongono il corpus, “tanto che la crescita delle leggende […] può sembrare simile alla crescita delle leggende tra i popoli, al prodotto di molte menti e generazioni.” (Christopher Tolkien, dall’introduzione a Racconti ritrovati, citato anche in quella di Beren e Lúthien).
Il risultato è che ciò che è alla base di tutto il mondo tolkieniano, l’insieme dei miti dell’antichità della Terra di Mezzo, il cosiddetto “Silmarillion” – tra virgolette – non esiste in una forma compiuta.

Quello che si è trovato davanti Christopher alla morte del padre è un insieme gigantesco di appunti, quaderni, scritti vari, da cui ha estratto inizialmente Il Silmarillion (in corsivo), libro pubblicato nel 1977 e distillato di questi scritti, fortemente rimaneggiati in forma romanzesca.
Non contento del risultato, si è dedicato a realizzare prima i Racconti incompiuti e poi la monumentale The History of Middle-Earth, una quasi-edizione critica che presenta i vari racconti senza modifiche, in ordine cronologico e nella forma in cui sono stati vergati dall’autore, riproponendo le diverse versioni degli stessi testi, spesso incompiute o rimaneggiate, redatte nel corso degli anni.
Da questo corpus ha deciso, in anni recenti, di estrarre due dei racconti principali presentandoli come opere a sé stanti, I figli di Hurin (2007) e Beren e Lúthien (2017), riservando però loro due trattamenti molto diversi.

Per il primo ha scelto di realizzare – scrive nell’introduzione – “una narrazione compiuta, esente da interruzioni e da lacune, purché ciò fosse possibile senza alterazioni del percorso narrativo e senza invenzioni arbitrarie, e malgrado lo stato di incompiutezza in cui mio padre lasciò alcune parti”. Il risultato è quindi un romanzo vero e proprio, in cui l’intervento del figlio si fonde in modo indistinguibile con la scrittura del padre, pur nel modo meno invasivo possibile.

 

La copertina di I figli di Hurin, illustrata da Alan Lee

 

Beren e Lúthien, invece, è la raccolta di più stesure dello stesso racconto, in prosa e in poesia, proposte in ordine cronologico di redazione e intermezzate dai commenti del curatore incentrati soprattutto a mostrare le differenze tra le varie versioni. Non un romanzo, quindi, nonostante quello che dice la grafica di copertina della Bompiani, ma un libro da filologi tolkieniani.

Bisogna aggiungere che i testi che compongono il volume provengono dalla History: Non si tratta quindi di inediti, se non per paesi tolkienianamente arretrati come l’Italia. L’obiettivo di Christopher non è quindi quello di portare alla luce nuove opere ma di chiudere la propria carriera (ha ormai 92 anni) mostrando il processo di creazione della storia che suo padre riteneva la più importante, quella che più di tutte l’ha accompagnato nella vita.

 

La copertina di Beren e Lúthien, illustrata da Alan Lee

 

Ma di cosa parla la storia di Beren e Lúthien? Non serve aver letto History o Silmarillion per conoscerla, basta essere arrivati al capitolo XI della Compagnia dell’Anello (o aver visto la versione estesa del primo film di Peter Jackson), quando Aragorn, al momento noto ancora solo come Grampasso, canta agli hobbit una canzone elfica che racconta la vicenda.

Lúthien è la figlia di un re elfico dei tempi antichi e di una dea minore. Un giorno un umano di nome Beren la vede danzare nei boschi e si innamora di lei: la osserva di nascosto, la chiama Tinúviel, usignolo, la cerca, finché anche lei non si innamora. Ma il padre di lei si oppone al matrimonio della figlia con un mortale: Beren dovrà dimostrarsi degno sottraendo una delle tre gemme magiche, i Silmaril, dalla corona di Melkor.
Questi era il più potente dei Valar, gli dei di Arda, ma sfidò per superbia Iluvatar, il dio creatore, e fu esiliato sulla terra, dove venne chiamato “lo scuro nemico del mondo”; per intenderci, aveva ai suoi ordini eserciti di Balrog (il mostro di ombra e fiamme che combatte Gandalf) e Sauron, l’Oscuro Signore del Signore degli Anelli, era un suo lacchè. Da secoli gli eserciti degli elfi e degli uomini gli facevano inutilmente guerra e gli eroi più potenti cercavano invano di strappargli i Silmaril che aveva rubato.

 

Lo scontro tra Melkor e l’eroe elfico Fingolfin illustrato da Lucio Parrillo per il calendario 2017 dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani

 

Beren riesce a sottrarre il Silmaril grazie all’aiuto di Lúthien, ma perde la vita nell’impresa. Lei, inconsolabile, si lascia morire di dolore.
Il dio dei morti Mandos, però, si commuove e fa tornare i due nella Terra di Mezzo, dove vivranno un’esistenza da mortali nascosti agli occhi del resto del mondo. Il loro nipote sarà Aerendil, colui che convincerà i Valar a scendere in guerra e a sconfiggere Morgoth.

Questa storia prende forma nella fantasia di J.R.R. Tolkien 100 anni fa, mentre è sotto le armi. È stato mandato in Francia a combattere sulla Somme ma una malattia l’ha costretto a tornare in patria e viene assegnato a una guarnigione nello Yorkshire. Lì concepisce la storia dei due amanti, ispirato da un boschetto con folti cespugli di cicuta e soprattutto dal suo recente matrimonio con Edith Bratt. Lui ha 25 anni, lei 28; la storia di Beren e Lúthien li accompagnerà per il resto della loro vita, tanto che sulla loro tomba sono incisi i nomi dei due personaggi.

 

La tomba di Edith Mary e John Ronal Reuel Tolkien al Wolvercote Cemetery di Oxford.

 

In sessant’anni Tolkien ha messo mano più volte alla vicenda, modificandone vari aspetti. In alcune versioni Beren non è un umano ma un elfo di un popolo malvisto da quello di Lúthien. Nella prima stesura compare il personaggio di Tevildo, il Principe dei Gatti, terribile vassallo di Melkor, successivamente depennato forse perché troppo fiabesco e sostituito da Thû, che diventerà in seguito Sauron. Altri personaggi minori compaiono e scompaiono o cambiano nome, così come cambiano alcuni eventi.

È straordinario, quindi, notare come l’ossatura della trama sia sopravvissuta a tutte queste stesure. Tolkien sapeva perfettamente di cosa parlava la sua storia più importante, così l’ha scritta nel 1917 e così l’ha lasciata quasi sessant’anni dopo, alla sua scomparsa, incompiuta ma in fondo completa già in origine. In Beren e Lúthien ci sono già tutti i temi principali dell’opera tolkieniana, come l’accettazione della propria missione, anche se senza speranza di successo, o la fascinazione per i gioielli, simbolo del potere e della ricchezza che corrompono gli animi, o ancora la salvezza che arriva per mano dei piccoli e degli umili e non dei potenti.

Beren e Lúthien non è un libro semplice. È ostico, a volte noioso (in fondo ripete per sette volte la stessa storia), e per quanto le note di Christopher introducano i lettori ai nomi e ai luoghi della Prima Era della Terra di Mezzo, è difficile per un lettore non esperto districarcisi e tenere a memoria i nomi elfici che cambiano da stesura a stesura.

È però un documento tremendamente affascinante, un modo per scoprire il dietro le quinte dell’opera di Tolkien come non ci era mai stato possibile. La comparazione quasi diretta tra le diverse stesure permette di seguire decennio dopo decennio l’evoluzione di un racconto esemplare e di rendersi conto direttamente di quello che si scriveva prima, ovvero di come ogni testo tolkieniano appaia in realtà come un’epica scritta a più mani da più generazioni, di come sia più vicina alla tradizione orale che al romanzo moderno. Prosa e poesia si alternano, ogni diverso cantore regala al pubblico la sua versione dello stesso mito, mutando nomi situazioni personaggi ma raccontando sempre in fondo la stessa storia.

Tinúviel, l’usignolo, illustrato da Alan Lee per Beren e Lúthien

 

Fatto altrettanto più importante, la pubblicazione di Beren e Lúthien è la chiusura perfetta di un percorso: Christopher si congeda dall’opera di suo padre con il primo dei suoi racconti. Come nota Wu Ming 4 nel pezzo che citavo all’inizio, il quesito più interessante adesso è quale sarà il futuro dell’opera tolkieniana, se subentrerà un nuovo curatore che continuerà a proporre nuovi testi e nuove letture o se la produzione postuma è destinata a chiudersi, lasciando ancora spazio a studi critici accademici ma non più alle “edizioni critiche pop” a cui Christopher Tolkien ci aveva abituati.

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