Tra dei e superuomini dai piedi d’argilla

In Cinema

“Batman V. Superman”, affidato a un cast sontuoso (Affleck, Eisenberg, Irons, Adams) ma in gran parte sbagliato, e alla regia grossier di Zack Snyder, è la nuova deludente megaproduzione targata DC Comics. Che parte bene ma poi naufraga tra (troppe) esplosioni e (poca, e poco convincente) trama

Prendete una delle miglior graphic novel del secolo scorso, un’opera così bella e profonda, nella sua complessità, da renderne impensabile una qualsiasi trasposizione edulcorata per il grande pubblico. Prendete i due attori più mascelluti e meno comunicativi del panorama hollywoodiano contemporaneo, roba da due espressioni a testa, con mantello e senza, con barba e fresco di rasatura. Prendete un ex giovane regista, sopravvalutato fin dagli esordi e capace di prendere quanto fatto dai suoi più illustri predecessori e rielaborarlo con la delicatezza di uno sfasciacarrozze in stato di ebbrezza. Prendete infine l’idea che un cocktail che nasce da simili premesse ed elementi così eterogenei possa davvero portare a qualcosa di buono. Mescolate tutto e avrete Batman V. Superman – Dawn of Justice, la nuova mega-produzione DC Comics firmata Zack Snyder, protagonisti Ben Affleck e Henry Cavill, un film, a esser molto buoni, riuscito soltanto a metà.

Bisogna ammetterlo: non era affatto facile. Batman e Superman, personaggi antitetici quanto la notte e il giorno, hanno in comune una vita cinematografica che definire di fortune piuttosto alterne è quasi eufemistico. Il Cavaliere Oscuro ha alle spalle un imbarazzante passato remoto televisivo fatto di tutine sgargianti e celeberrime scazzottate a suon di baloon, nei telefilm con Adam West, sfociati addirittura in un lungometraggio che è l’apoteosi del kitsch anni ’60. Così ci volle tutta la creatività di un Tim Burton ancora agli esordi ma già in stato di grazia, per rispolverare (anzi, rimettere a nuovo), a inizio anni ‘90, mantello e maschera, scrollando via l’innocua atmosfera fumettosa da icona per famiglie per ridonare l’uomo pipistrello e le sue nemesi a un’oscurità degna di questo nome. Ma è solo un’illusione: nel ’95 la palla passa al visionario (anche troppo) Joel Schumacher, che alle atmosfere gotiche burtoniane sostituisce quelle fluo di costumi e scenografie modello Gardaland, confezionando due prodotti, Batman Forever e Batman & Robin, tutt’altro che memorabili. Dieci anni più tardi, è il salvatore Christopher Nolan che, in Batman Begins e nei successivi Il Cavaliere Oscuro e Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno, azzera e riscrive la nascita dell’eroe in chiave nel contempo più realistica, buia e introspettiva, rendendo finalmente giustizia alla profondità del personaggio.

Un percorso diametralmente opposto è quello compiuto dall’Uomo d’Acciaio: cupi, dark e dal tratto squisitamente anni ’40, i cartoni animati del Superman targato fratelli Fleischer (“Più veloce di un proiettile! Più potente di una locomotiva!”) sono ancora oggi una piccola opera d’arte. Finiti quelli, di fatto, quasi il nulla per più di trent’anni. Poi, come da DNA di ogni eroe che si rispetti, apoteosi, crollo e rinascita: dal 1978, Richard Donner prima e Richard Lester subito dopo danno nuova vita e immagine all’ultimo abitante di Krypton, facendo del suo nuovo interprete, il riccioluto Christopher Reeve, un’icona della cinematografia del XX secolo. Icona, ahimè, mal gestita al punto da perdersi in fretta tra regie sempre più forzate e comicità fuori luogo: l’ultimo capitolo della serie, il quarto, è un tale fiasco da affossare definitivamente il franchise in attesa di tempi migliori. La rinascita data 2006, quando Bryan Singer (già autore di due ottimi film sugli X Men) dirige Superman Returns, un’attualizzazione più che dignitosa e un po’ sottovalutata del personaggio anni ’80, fino all’arrivo di Zack Snyder e del suo Man Of Steel, decisamente più pretenzioso e sconclusionato, e sostenuto da un battage pubblicitario imponente, nel disperato tentativo di contrastare il crescente strapotere Marvel sul grande schermo.

Zack Snyder, appunto. Il solito, prego. La ricetta è sempre quella: una cifra stilistica ben riconoscibile, una cura di immagini e fotografia quasi manieristica e comunque più che apprezzabile per la prima mezz’ora, un’introduzione efficace e d’atmosfera dei personaggi principali. Poi, come l’attaccante che dribblato anche il portiere sbaglia a porta vuota il più facile dei gol, al momento di concludere ecco il nulla. O meglio il caos. Già, perché se in Man Of Steel da un certo punto in poi non succedeva davvero più nulla (a parte la distruzione di mezza Metropolis), qui invece succede troppo, e tutto insieme. E sì che, dopo una preparazione tutto sommato abbastanza convincente, bastava toccarla appena per buttarla dentro.

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Venduto come l’adattamento più o meno dichiarato di Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, della splendida graphic novel di Frank Miller a conti fatti non c’è praticamente traccia. Del poetico dualismo tra l’antieroe invecchiato ma ancora schiavo del proprio alter ego e l’eterno eroe fiabesco al servizio del potere costituito, Snyder finisce col servire soltanto le briciole, con citazioni qua e là e strizzatine d’occhio che all’inizio fanno sorridere, ma alla lunga quasi innervosiscono, per quel che avrebbe potuto essere e non è stato. Il resto (metà film, a dirla tutta) è un’agonia di pura distruzione gratuita modello Michael Bay, impastata da effetti speciali non sempre all’altezza, esagerata al punto da risultare, a lungo andare, persino ridicola. E che riesce nella poco mirabile impresa di trasformare uno scontro epico in una zuffa da cortile. Intanto, sullo schermo, si moltiplicano buchi di sceneggiatura grandi quanto meteoriti, e nella testa dello spettatore si ammucchiano domande su domande destinate a restare senza risposta.

Non aiuta, come accennato, la scelta del cast: detto dei due marmorei protagonisti, coi comprimari va quasi peggio, tra attori palesemente fuori ruolo e personaggi sbagliati in partenza. Jesse Eisenberg, una nomination all’Oscar per The Social Network, è il meno peggio nei panni di un Lex Luthor che prova a fare il Joker, solo più irritante e senza sostanza. Amy Adams è una Lois Lane all’acqua di rose, donzella dallo sguardo languido in perenne attesa di soccorso, che, al quarto salvataggio in due ore di pellicola, meriterebbe di imparare a cavarsela da sé. Jeremy Irons, gigante nelle sue 5, 6 battute, è un Alfred fin troppo disinvolto e quasi strafottente, ma a ragion veduta, perché per carisma e presenza avrebbe potuto tranquillamente fare lui il Bruce Wayne. Unica eccezione a questa commedia degli errori, la splendida Gal Gadot, ex modella con una carriera militare appena sfiorata ma ben visibile, che offre una Wonder Woman enigmatica, carismatica e grintosa, già più che pronta ad affrontare, da unica donna, il progetto “di gruppo” Justice League, prossimo capitolo in cantiere del nuovo universo cinefumettistico targato DC Comics.

Universo al quale, se in cabina di regia ci sarà ancora l’ormai onnipotente Snyder, dovrà essere imposto un robusto cambio di rotta, o quantomeno una guida più sicura: la strada scelta finora, quella del binomio cupo-fracassone, per distinguersi dall’allegro girotondo Marvel, ancora non funziona, provocando, se esasperata come accaduto finora, tanti sbadigli e pure qualche sorriso amaro. Un po’ come quando (piccolo spoiler, ma tant’è…) Batman si precipita a salvare la mamma di Superman in pericolo: “Non si preoccupi signora, la salverò io, sono un amico di suo figlio!” “Lo so, l’avevo capito dal mantello”, e in sala giù risate. Provaci meglio, Zack.

Batman V. Superman – Dawn of Justice di Zack Snyder, con Henry Cavill, Ben Affleck, Jesse Eisenberg, Gal Gadot, Jeremy Irons, Amy Adams