“Bamboccioni” quarantenni alla francese con molte risate e un tocco di malinconia

In Cinema

In “L’arte della fuga” di Bruce Cauvin (anche sceneggiatore e protagonista), film molto parigino anche se alla base c’è un romanzo americano, tre fratelli mettono in scena la loro incapacità di diventare finalmente adulti: mamma e papà li vedono eternamente piccoli, e loro si godono la sindrome di Peter Pan, regalando battute a raffica e matrimoni disastrosi. Cast in forma, Agnes Jaoui su tutti

Sono tre fratelli i protagonisti dell’Arte della fuga, commedia francese dai dialoghi frizzanti ma dal retrogusto amaro: Antoine (Laurent Lafitte), che vive con l’affidabile Adar (Bruno Putzulu) da dieci anni e progetta di comprare casa insieme a lui, ma intanto sogna avventure extraconiugali facendo la spola fra Parigi e Bruxelles, sulle tracce di vecchi amanti e nuovi sogni di trasgressione; Louis (Nicolas Bedos), anche lui fidanzato da tanti anni – con l’innamoratissima Julie (Élodie Frégé), che sta organizzando l’inevitabile matrimonio – ma intanto si innamora di Mathilde (Irène Jacob) e per lei si dichiara disposto a rimettere tutto in gioco; Gerard (Benjamin Biolay), il fratello più grande, l’unico che l’esperienza del matrimonio l’ha già vissuta ma è finita malissimo, con una separazione non voluta da lui e che l’ha lasciato depresso, incattivito e disoccupato, comunque ostinatamente deciso ad aspettare il ritorno di una ex moglie la quale però di lui non vuole proprio più saperne.

Tre fratelli diversissimi eppure terribilmente simili, soprattutto nel desiderio spasmodico di sottrarsi alle responsabilità della vita adulta, barcamenandosi fra sogni e bisogni, entusiasmi adolescenziali, falsi movimenti e fughe scomposte. In Italia c’è chi li chiama “bamboccioni”, in Francia non sembra esserci un nome preciso ma il fenomeno appare tutt’altro che sconosciuto. Del resto, quando mamma e papà (Marie-Christine Barrault e Guy Marchand) continuano – ben fuori tempo massimo – a trattare i figli 40enni come marmocchi bisognosi di coccole e incoraggiamenti, è un po’ difficile immaginare che questi abbiano così tanta voglia (e soprattutto la capacità!) di diventare finalmente grandi.

L’arte della fuga è una commedia di qualche anno fa molto francese, diretta da Brice Cauvin ma tratta da un romanzo americano di Stephen McCauley, che intreccia ironia e inquietudine, introspezione psicologica e risate, mettendo in scena la sindrome di Peter Pan come inevitabile conseguenza di un’educazione famigliare non esattamente riuscita. Le parti migliori sono quelle in cui a prevalere è un’atmosfera un po’ claustrofobica, quasi soffocante, perfetto contenitore di battute a ritmo sostenuto condite di cinismo, ma sempre accompagnate da un sorriso gentile.

Cauvin, attore e sceneggiatore oltre che regista, punta soprattutto sull’effetto rispecchiamento e gioca pervicacemente di accumulo, mettendo in scena un universo variegato dove tutti i personaggi, anche quelli secondari, hanno una loro ragion d’essere e riescono a strappare un sorriso. Pensate ai due fratelli turchi che decidono di aprire un ristorante italiano! A trascinare il cast c’è comunque la meravigliosa Agnès Jaoui, che oltre a dare una mano nella scrittura dei dialoghi si ritaglia il ruolo dell’eccentrica Ariel, un po’ materna e un po’ folle, piena di umanità ma dotata anche di un bisturi affilato quando si tratta di scavare nei vizi e nelle debolezze altrui.

Una piacevole sorpresa d’inizio estate punteggiata di dialoghi divertenti ma non priva di una certa inclinazione alla malinconia: perché nel labirinto dell’esistenza è facilissimo smarrirsi, a qualunque età, e ben più arduo ritrovare il filo, scoprire un senso, individuare una direzione, giusta o sbagliata che sia.

L’arte della fuga, di Brice Cauvin, con Agnès Jaoui, Laurent Lafitte, Benjamin Biolay, Nicolas Bedos, Bruno Putzulu, Irène Jacob, Élodie Frégé, Marie-Christine Barrault, Guy Marchand