Vent’anni e 11 omicidi: un serial killer argentino (vero) in salsa Almodovar

In Cinema

“L’angelo del crimine” di Luis Ortega racconta con grande efficacia l’ambiguo e “banale” fascino del male, accentuando un po’ i toni nello stile del grande Pedro, che ne è coproduttore: ma il ritratto che Lorenzo Ferro, giovane attore all’esordio sul grande schermo, ci regala del giovanissimo Carlos Robledo Puch, detto l’Angelo nero, che terrorizzò Buenos Aires negli anni 70, è davvero notevole

Il 4 febbraio 1972, dopo l’ennesimo, rocambolesco tentativo di fuga, l’”Angelo nero” Carlos Robledo Puch si arrende alle autorità. Al momento del suo arresto, a soli 20 anni, ha già compiuto undici omicidi, diciassette rapine e svariati crimini sessuali, diventando uno dei criminali e serial killer più famosi nella storia dell’Argentina. Storia che il giovane regista Luis Ortega decide di raccontare, tra la cronaca e il romanzato, in L’angelo del crimine, presentato a Cannes 2018 nella sezione Un Certain Regard e scelto per rappresentare il suo paese tra i migliori film stranieri all’Oscar di quest’anno, pur senza arrivare a ricevere la nomination. Nella sua prima settimana di proiezione in patria, ha ottenuto il miglior risultato di sempre al botteghino per un film argentino. E fra pochi giorni uscirà in Italia.

Realizzata con il contributo, tra gli altri, della casa di produzione di Pedro Almodóvar El Deseo, l’opera di Ortega strizza in effetti con furbizia l’occhio allo stile e alla poetica del maestro spagnolo, seppure con toni decisamente più dark. L’angelo del crimine è un inquietante viaggio ai confini di ciò che, oggi come allora, si potrebbe definire normale o moralmente accettabile: ma normale, anzi, quasi banale, è la facilità con cui Carlos compie ogni delitto, anche il più feroce, semplicemente perché “gli riesce bene”. Disturbante, sul grande schermo come nelle cronache, non è tanto la crudeltà delle sue azioni, ma il netto contrasto tra l’efferatezza del crimine e un aspetto fisico, un atteggiamento riservato e un’estrazione sociale totalmente agli antipodi rispetto alla figura del delinquente incallito nell’immaginario popolare dell’epoca.

In questo, fondamentale è la scelta di Lorenzo Ferro, al suo notevolissimo esordio sul grande schermo, nei panni più che ambigui di Robledo Puch: è lui a dare vita con conturbante carisma a un personaggio dalle mille sfaccettature, capace di vestire come una maschera il volto androgino di un putto barocco (“la versione maschile di Marilyn Monroe”), per poi impugnare pistole e uccidere quasi come se fosse un gioco, arrivando persino a chiedersi se le sue vittime “siano davvero morte o stiano solo fingendo”. D’altro canto, proprio l’ambiguità sessuale, usata in quei giorni dalla stampa argentina per provare a giustificare l’ingiustificabile, è il secondo (se non addirittura il primo) tema portante della pellicola di Ortega: il suo Carlos è in continuo travestimento, alla ricerca di un’identità per tentativi, dal più estremo al soltanto accennato.

Intorno a lui, luci, costumi e atmosfere surreali, quasi oniriche, un mare di colori in cui immergersi come i divi e le dive della televisione o del cinema. Ecco perché scene e fotografia de L’angelo del crimine sono il catalogo e l’apoteosi del lusso anni settanta, dal design più raffinato al kitsch più estremo, tra un furto a passo di danza (la colonna sonora ripropone buona parte dei classici pop del periodo, compresa la versione argentina di Non ho l’età di Gigliola Cinquetti e House of the Rising Sun) e un omicidio con orecchini di diamante.

Ideale proseguimento dell’epopea sul “crimine in famiglia” iniziata da Luis Ortega con la miniserie Historia de un Clan (in cui, tra l’altro ritroviamo alcuni membri del cast di questo film, come Chino Darín e Cecilia Roth), L’angelo del crimine ha probabilmente il suo principale punto di forza proprio nel costante disagio che riesce a provocare nello spettatore, talvolta anche esagerando, come un materasso scomodo in lenzuola di seta o un hit radiofonico dal ritornello stonato o dissonante. A ricordarci ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, la seducente, insensibile, indecifrabile banalità del male.

L’angelo del crimine di Luis Ortega, con Lorenzo Ferro, Chino Darín, Cecilia Roth, Daniel Fanego, Mercedes Morán, Peter Lanzani, Luis Gnecco