Amore e anarchia: Ravenna è immersa nella storia

In Teatro

Uno spettacolo caratterizzato da minuzioso lavoro di tensione narrativa: Ravenna diventa (non) luogo di storicismi e vita vissuta grazie a Teatro delle Albe e Compagnia Drammatico Vegetale

Mentre nella sala grande dell’ Elfo si parla di mutamenti possibili nel futuro, nella sala Bausch, la più piccola, il clima è sospeso e il tempo sembra non passare. Una stanza nera, un tavolo, delle candele e due persone, un uomo e una donna. Il pubblico entra quando gli attori sono già in scena: tutto è immobile nell’attesa di qualcosa che avverrà durante lo spettacolo.

Si racconta di una Ravenna anarchica, di imprese garibaldine, unità d’Italia, internazionalismo socialista ed anarchico e come sede per fare tutto questo viene scelta una scuola elementare, a San Bartolo, la stessa che frequentarono Maria Luisa Minguzzi ( Michela Marangoni) e Francesco Pezzi (Luigi Dadina, anche regista) e che è anche il luogo in cui ha debuttato lo spettacolo. La scuola è un simbolo fondamentale, educare è stare a vedere, ad ascoltare, è sperimentare, la scuola deve permettere al bambino di liberarsi dalla gabbia di bisogni in cui è rinchiuso e l’insegnamento deve essere razionale, misto e libertario. Nel finale la coppia si domanda se qualcuno di questi principi sia stato raggiunto e la risposta viene dalla speranza che lascia aperta nuovamente la porta dell’attesa.

Una frase rimane impressa nella memoria:

Compagne unitevi a noi. La società del presente ci ha detto: o soffri la fame, o venditi.

La società dell’avvenire ci dirà: vivi, lavora, ed ama.

Una frase che risulta essere insieme moderna, perché proiettata verso il futuro, e inattuale perché con il senno di poi, oggi ci rendiamo conto che niente di questo è avvenuto, ma allora viene da domandarsi se lo spettacolo sia diretto a noi o già proiettato verso i nostri figli e nipoti.

LuidiDadina

Nella fruttuosa collaborazione tra Teatro delle Albe e Compagnia Drammatico Vegetale si assiste, infatti, ad un minuzioso lavoro di tensione narrativa, dove lo spettacolo risulta fortemente “testocentrico” e di introspezione che potrebbe quasi annoverare tra gli antenati Svevo e Dostoevskij.

Carichi di una forza antica e impalpabile risultano i personaggi, in realtà fantasmi che in un gioco perfetto di ossimori risultano vivi, con le loro passioni ancora forti e la loro vicinanza di ideali di condivisione di vita vissuta e nello stesso tempo della loro forte lontananza in parte tra di loro e in parte con i temi di cui ci tengono che rimanga memoria e nella stessa impossibilità di comunicazione con le maestre che risultano essere, anche se non presenti sulla scena, l’unico contatto con la realtà del presente.

L’equilibrio tra l’hic et nunc della rappresentazione e la dimensione surreale della memoria è davvero notevole: sessanta minuti in cui l’ orecchio rimane incollato alle loro parole in una scena minimalista scarna con poca luce, per tutto lo spettacolo data da delle candele, supportate in alcuni momenti da alcuni fari teatrali. Uno spettacolo senza pretese con l’unico desiderio di trasmettere l’amore di una vita, se poi sia l’amore degli attori, quello dei personaggi o entrambi giudichi lo spettatore.

(foto di Davide Baldrati)

Amore e Anarchia, regia Luigi Dadina, in scena al Teatro Elfo Puccini fino a domenica 20 dicembre 

 

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