Perché ridiamo vedendo “50 sfumature di nero”, che è perfino un po’ meglio del primo?

In Cinema

Anastasia (Dakota Johnson) e Christian (Jamie Dornan) sono tornati. Due anni (e tre settimane filmiche) dopo, sono la coppia, quasi normale, della “porta accanto”. Si, un paio di manette e qualche sculacciata li rendono ancora un po’ hot, ma mai entrerebbero nella top 100 di You Porn. Ricchi, carini e non disoccupati. Il cinema sarà un’altra cosa, ma i (e le) giovani li prendono terribilmente sul serio

Storicamente i debutti cinematografici della saga di 50 Sfumature cercano di offrire qualche gioia in più di una semplice anteprima. Questa volta noi svogliati recensori di mezza età siamo stati accolti alla proiezione del secondo capitolo (50 sfumature di nero, di James Foley) da damine settecentesche con la mascherina piumata, flûte di prosecco e fragole intinte nella cioccolata, forse nel tentativo (apprezzatissimo) di rianimarci prima ancora che iniziasse il film. Finito il rinfresco siamo stati fatti entrare in sala, ma solo dopo che il metal detector ci ha setacciati in lungo e in largo nel timore che qualcuno potesse piratare la pellicola prima del tempo. Evidentemente danno per scontato che nessuno di noi se ne vada in giro con una paio di manette nel più puro stile Christian Gray. Chissà che trilli farebbe l’apparecchio in quel caso.

La nuova fatica tratta dai libri pornosadici di E.L. James arriva sugli schermi a distanza di due anni dal primo film, ma virtualmente riprende poco dopo che Anastasia Steele, la ex vergine ex lavoratrice in un negozio di ferramenta si è lasciata con Christian per colpa di sculaccioni troppo violenti. Tre settimane e un mazzo di rose bianche dopo, lei riceve l’indubbia soddisfazione di rivedere Mr Gray, che le dice “ti voglio di nuovo con me”. Bastano due cunnilingus e tre cene eleganti per rinsaldare definitivamente la coppia.

Meno problematici che nel primo film (i pochi accenni ai traumi infantili di Christian che insorgono la notte vengono debitamente dimenticati al risveglio), riposanti nel loro tran tran che contempla il letto come unico momento d’intimità, Gray e Anastasia sono diventati un po’ come la giovane coppia della porta accanto che saluti sul pianerottolo con un misto di affetto e invidia, mentre ti torna in mente il baccano che hanno fatto la notte passata.

Rispetto al primo film Anastasia si morde meno il labbro e ha anche un lavoro. È l’assistente di un giovane editore, troppo aitante e ammiccante per piacere a Christian, che dopo poco lo fa licenziare. E chi altri, meglio di Anastasia, arrivata da poco, può rimpiazzare l’editor e prendere decisioni capitali per la ditta?

Per dare un po’ di suspence c’è anche una ex sottomessa di Christian che stalkera Anastasia fino a minacciarla persino con una pistola, ma è poca cosa.

Come sempre, a rendere tutto più sopportabile ci sono i soldi e le cose. Perché un mondo fatto di balli e belle macchine, vestiti meravigliosi, lenzuola di raso e pavimenti di marmo, aiuta. E poco importa che la storia sentimentale dei due protagonisti sembri noiosissima, se tutte le volte che iniziano a fare sesso ogni vuoto viene riempito con la canzone di successo del momento.

Insomma, tutto già visto. Eppure per questo così rassicurante. C’è anche qualche battuta, come quando Rita Ora, che recita nel ruolo della sorella di Christian, lo definisce saggiamente “l’uomo che ha tutto tranne del sense of humor”. E in generale fra i due protagonisti Jamie Dornan e Dakota Johnson c’è un’oncia di feeling in più rispetto al film prototipo, in cui apparivano imbarazzantemente distonici. Questa volta pare che entrambi si siano messi l’anima in pace e si adattino con maggiore grazia ai loro ruoli. E questa cosa giova al film. Così come giova tutto questo display di pelle, carni e muscoli. In assenza di una trama plausibile o minimamente interessante, due protagonisti giovani, carini e non disoccupati, aiuta a passare due ore di tempo e a digerire plateali assurdità come l’incidente d’elicottero di Christian, dal quale emerge senza un graffio.

Certo è che la famosa camera rossa di Christian è ormai una lontana chimera. E il loro è ormai un sesso vanilla, che si riduce a poco più che “il missionario”. Il massimo del BDSM che intercorre fra i due è qualche manetta, appunto, o una sculacciata. Completano l’offerta due sfere vaginali due, che al massimo farebbero suonare il metal detector all’entrata del cinema. Ma, tutte sommate, queste scene non entrerebbero nelle prime cento di You Porn. Insomma, non si capisce quale sia la parte più oscura di questo secondo capitolo di 50 sfumature: diciamolo, Christian ormai è un docile fantoccio nelle mani di Anastasia, che fra uno “sculacciami” subito seguito da un “questa volta niente regole, niente punizioni e niente segreti” sembra soprattutto un po’ bipolare.

Ma ripeto, sono giovani belli e sorridenti. Perché no allora? Perché non godersi le ovvietà e sospendere il giudizio? Certo, ci vogliono stomaci forti, ma così sono quelli dei giovani d’oggi, che devono digerire ben altro.

In sala mi sono ritrovata seduta vicino a due giovanissime ragazze. In attesa che iniziasse il film ho fatto un po’ di conversazione e ho scoperto che, insieme ad almeno una ventina di fanciulle come loro, si erano guadagnate l’invito alla visione, solitamente riservata ai giornalisti, grazie all’iniziativa promozionale di un famoso youtuber che seguono da anni. Sono carine, gentili, vestite con tubini di pizzo degni di una serata in discoteca, ben truccate. Scopro che hanno 22 e 20 anni, una studia medicina e l’altra infermieristica. Entrambe fanno volontariato sulle autombulanze, già da qualche anno. Ho chiesto a queste due brave ragazze se il primo 50 Shades gli fosse piaciuto e con modestia e semplicità mi hanno detto di sì, “solo ci ha dato molto fastidio che ci fosse un gruppetto di persone dietro di noi al cinema che rideva. Perché ridono?”

Già, perché ridiamo quando non c’è niente da ridere? Tenerelle, hanno ragione loro.

Cinquanta sfumature di nero, di James Foley, con Dakota Johnson, Jamie Dorman, Kim Basinger, Luke Grimes, Bella Heathcote, Rita Ora

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